Una città blindata. Così appare oggi Sderot, estremo avamposto al confine con Gaza, obiettivo da almeno dodici anni dei tiri di razzi dalla striscia, ma anche la comunità più intransigente nei confronti dei nemici. Ogni edificio, dalle scuole alle abitazioni, anche piccole, ai centri culturali, persino le fermate degli autobus, ovunque c’è una stanza bunker per correre al riparo se suona la sirena dell’allarme . Tutto pagato dallo stato e sottratto ad altri settori, dalle scuole al welfare, agli aiuti per chi perde il lavoro. E i nemici sono a vista. Dai terreni di un grande kibbutz si vedono lontane le costruzioni di Gaza: oltre la zona grigia dove chi passa si prende una pallottola, controllata da sensori elettronici, mentre dall’alto di un pallone aerostatico, l‘intero territorio retto da Hamas è passato al setaccio di telecamere comandate a distanza dai servizi israeliani. Ci spiega tutto questo Nomika Zion, un nome storico qui, suo padre è stato tra i fondatori di Israele. Lei ha fatto già alla fine degli anni ‘80 una scelta difficile: si è trasferita, insieme ad altri giovani della sua generazione a Sderot, creando Migvan, un kibbutz di città. Dopo l’operazione piombo fuso è rimasta qui per testimoniare. Arriviamo all’indomani di una notte difficile. Dopo un nuovo lancio di razzi dalla Striscia, per fortuna senza danni, l‘aviazione israeliana si è espressa in uno dei suoi raid mirati. Dall’altra parte della no man’s land i danni ci sono e non pochi. E Sderot rivive la paura della rappresaglia.
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