Contro i revisionismi e la riscrittura della storia. Risposte sono nell’agenda rossa di Paolo Borsellino.
Si è svolta ieri in via d’Amelio, la giornata di commemorazione della strage che il 19 luglio 1992 strappò la vita al magistrato Paolo Borsellino e agli agenti di scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina ed Eddie Walter Cosina. Sono state date molte testimonianze dai familiari delle vittime, seguite (ore 16.58) dal minuto di silenzio nel momento esatto dell’esplosione della Fiat 126. Poi il dibattito con i giovani sulla lotta alla mafia alle 18.30. La serata si è chiusa, alle 21,30, con la proiezione del video dell’associazione Our Voice: “Note di resistenza. Memorie e voci delle stragi di Stato”.
Gli interventi dei famigliari delle vittime
In un’Italia segnata da stragi e omicidi mafiosi, le voci dei familiari delle vittime continuano a risuonare, unite da un comune desiderio di verità e giustizia.
Angelina Manca, madre di Attilio Manca, l’urologo siciliano trovato morto nel suo appartamento a Viterbo il 14 febbraio 2004, denuncia con forza il clima di manipolazione storica, aprendo l’evento organizzato in via D’Amelio dalle Agende Rosse per commemorare il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta: “Stiamo vivendo un momento molto difficile, in cui si cerca di travisare e di manipolare quanto è avvenuto nel 1992”, riferendosi alle stragi di Capaci e via d’Amelio. Con amarezza, sottolinea come “l’agenda rossa [di Paolo Borsellino] è la scatola nera di via d’Amelio. Su questo si dovrebbe indagare, anziché celebrare gesti simbolici privi di sostanza”. La sua indignazione si acuisce di fronte all’esposizione della borsa di Borsellino in Parlamento il 19 luglio 2022, “come se fosse un volgare trofeo”, un atto che svilisce la memoria del giudice assassinato il 19 luglio 1992 insieme ad Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Emanuela Loi e Claudio Traina. Angelina si chiede, insieme a Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, perché nessuno abbia mai indagato a fondo sulla libertà di movimento del boss Bernardo Provenzano, latitante per decenni: “Nessun giornalista si è mai chiesto come fosse possibile per Provenzano circolare liberamente in Italia ed anche all’estero. Certe domande è meglio non farle, per tenere addormentate le coscienze di un popolo che non si informa e non lotta”. Nonostante il dolore per la perdita di Attilio, la cui morte è stata riconosciuta come mafiosa dalla Commissione Parlamentare Antimafia il 17 ottobre 2022, Angelina guarda al futuro con speranza: “Spero che un giorno si possa aprire un vero processo sulla sparizione dell’agenda rossa e sull’omicidio di Attilio. So però che non siamo soli”, grazie ai giovani e all’avvocato Fabio Repici, che porta avanti la loro lotta con tenacia.
A questa voce si unisce quella di Paola Caccia, figlia di Bruno Caccia, il procuratore di Torino assassinato il 26 giugno 1983, il primo magistrato ucciso dalla ‘Ndrangheta. Paola descrive un’indagine volutamente limitata: “Non sono state fatte delle indagini vere e proprie, ma gli inquirenti si sono accontentati di accertamenti giudiziari per dare un ergastolo, senza capire il movente, senza allargare il campo”. Il processo, che ha portato a una condanna senza approfondire i veri mandanti, segue “un copione comune a questi omicidi di magistrati, forze dell’ordine”, simile a quello di via d’Amelio, nonostante l’omicidio di Caccia preceda di dieci anni la strage del 1992. Dopo trent’anni, nel 2013, la famiglia ha chiesto la riapertura delle indagini, ma anche il secondo processo, conclusosi nel 2017, ha ignorato indizi su un movente più ampio, limitandosi a un altro ergastolo per un esecutore di basso livello. Tuttavia, Paola non si arrende: “Nonostante tutto, credo che la verità piano piano si insinuerà nelle crepe di questo muro di omertà che è stato messo proprio da chi avrebbe dovuto stare dalla parte delle vittime”, grazie a “tante persone coraggiose, caparbie, che continuano a lottare: magistrati, avvocati, forze dell’ordine, giornalisti, parenti delle vittime”.
In collegamento da Casa Memoria a Cinisi, Luisa Impastato, nipote di Peppino Impastato, assassinato dalla mafia il 9 maggio 1978, ricorda il trauma del 19 luglio 1992, quando, a soli cinque anni, provò “un fortissimo senso di paura. Paura che quello che avevano fatto al giudice Borsellino e allo zio Peppino potessero farlo anche a noi”. Quel dolore si è trasformato in orgoglio e senso di responsabilità, trasmesso dalla nonna Felicia, che ha fatto del lutto un’azione politica. Luisa invita le nuove generazioni a raccogliere il testimone: “Siamo chiamati ad assumerci la responsabilità delle storie di chi ci ha preceduto, di chi ha lottato per un’idea di mondo più giusto, più libero”. Per lei, la memoria non è solo commemorazione, ma “uno strumento di libertà, di riscatto, di trasformazione, non soltanto commemorazione, ma pratica di cambiamento”. La lotta alla mafia, sottolinea, “non può prescindere dalla richiesta, tutela e garanzia di diritti uguali per tutte e tutti, incluso il diritto alla verità”, un diritto che lega le storie di Peppino, Paolo Borsellino e tutte le vittime di mafia.
Flora Agostino, sorella di Antonino “Nino” Agostino, il poliziotto ucciso insieme alla moglie Ida Castelluccio il 5 agosto 1989 a Villagrazia di Carini, esprime il peso di parlare in pubblico: “Non è per niente facile essere su questo palco senza emozionarmi, perché da un momento all’altro mi aspetto che spunti quella lunga barba bianca di papà Vincenzo, che per noi è stato un punto di riferimento”. Passa il testimone al figlio Nino Morana, che porta avanti la battaglia dei nonni: “Passo la parola a mio figlio Nino, che ha preso il testimone dei nonni per portare avanti la storia della nostra famiglia e continuare a richiedere verità e giustizia”.
Infine, Stefano Mormile, fratello di Umberto Mormile, educatore carcerario ucciso l’11 aprile 1990 dalla Falange Armata, rivela la scomoda verità emersa dalle indagini: “Umberto è stato ucciso perché testimone scomodo di incontri indecenti, illegali, tra agenti dei servizi segreti e boss dell’Ndrangheta dentro il carcere”, incontri volti a stringere patti criminali, come la spartizione dei proventi dei sequestri di persona. Nonostante le evidenze, le istituzioni hanno minimizzato: “Le istituzioni hanno reagito facendo in modo che, come per le stragi del ’92 e ’93, si dicesse che è stata solo la mafia, anche quando le evidenze indicavano coinvolgimenti istituzionali”. Una sentenza storica del 2022 aveva riconosciuto il ruolo dei servizi segreti, ma l’appello, influenzato dallo scandalo Equalize e dalla morte improvvisa del superpoliziotto Carmine Gallo il 15 giugno 2024, ha assolto l’imputato Salvatore Pace: “La sentenza di primo grado ha riconosciuto che Umberto è stato ucciso per ordine dei servizi segreti, ma poi l’appello ha assolto l’imputato, chiudendo il processo”. Stefano denuncia un sistema più ampio, che collega le stragi dagli anni ’60 alle bombe del ’92: “Le bombe, dagli anni ’60 a Portella della Ginestra fino alle stragi del ’92, sono servite per mantenere un ordine fascista, spostando il potere dal popolo agli apparati, ai servizi segreti, alle lobby”. Punta il dito contro l’articolo 31 del decreto sicurezza, approvato nel 2023, che concede ai servizi segreti una “manleva totale”: “L’articolo 31 del decreto sicurezza dà un salvacondotto totale ai servizi segreti, autorizzandoli persino a creare organizzazioni criminali e commettere reati, tutto per la ‘ragione di Stato’”.
Queste voci, unite dal dolore e dalla resistenza, gridano un’unica richiesta: verità e giustizia per le vittime di mafia e per un’Italia che non può più permettersi di nascondere le proprie ombre.
Anche la famiglia di Agostino Catalano (Pina, Salvatore e Tommaso) ha spronato ad agire: “Continueremo sempre a lottare e a dire sempre che noi ci siamo. Ogni anno siamo qui a parlare di depistaggi. Ma lo Stato che copre questi depistaggi dov’è? L’ultima porcata è stata la borsa di Paolo. A noi non interessava la borsa, a noi interessa il suo contenuto: l’agenda rossa. Perché lo stato non insiste a verificare l’operato di Arcangioli e gli spostamenti dell’agenda rossa. Nel contenuto di quell’agenda c’era la verità dell’Italia”.
Un concetto ribadito anche da Luciano Traina che ha ribadito come “i vari governi che si sono succeduti hanno fatto solo promesse e noi ci abbiamo creduto. Ma niente. A noi non interessa la borsa. Interessano i nomi che ha scritto Paolo Borsellino in quell’agenda. Penso che la verità non la sapremo mai, ma dobbiamo provarci”.
E poi ancora, Brizio Montinaro, fratello di Antonio Montinaro, membro della scorta di Giovanni Falcone: “I simulacri non servono a nulla se non ci sono contenuti. Quella teca che hanno apparecchiato per mettere dentro la borsa avrebbero dovuto metterla a fianco dell’immagine dell’agenda rossa mancante per fare un riferimento storico, filologico. Se credono che le teche possano soddisfare la nostra necessità di ricerca di verità e giustizia si sbagliano alla grande. Sono passati tanti anni. In questi 33 anni non ci accontentiamo della verità giudiziaria perché sappiamo che questa è ben altra cosa dall’oggettività e dalla verità storica. Mettiamo assieme tutte le tessere di questo mosaico che forse in futuro permetterà ai giovani di comprendere e cambiare questo mondo che gira male. Ringrazio Salvatore per aver voluto realizzare la mostra dei quadri di Gaetano Porcasi. Li abbiamo guardati attentamente e sono straordinari ma ne manca uno: andrebbe aggiunto un riferimento al 1943, momento in cui negli Usa i servizi americani vanno nelle carceri, prendono Luky Luciano, gli condonano la pena, trattano, lo mettono su un piroscafo e arriva in Sicilia. E fu così che lui pose le basi al presupposto dello sbarco in Sicilia. In questi anni abbiamo vissuto una democrazia limitata e condizionata da un sistema geopolitico che per patti scellerati di potere economico in qualche modo ha condizionato la nostra realtà storica“.
Paolo Lambertini: strage di Bologna organizzata dalla P2 ed eseguita da neofascisti
“La strage alla stazione di Bologna: 2 agosto 1980, 85 morti, oltre 200 feriti, strage neofascista, ci sono le sentenze passate in giudicato“, un evento di inaudita gravità che ha segnato la storia italiana, con una verità giudiziaria ormai accertata, ha spiegato Paolo Lambertini neo presidente dell’Associazione dei famigliari delle vittime della strage di Bologna. L’eccidio è stato “organizzato dalla loggia massonica P2, voluto dai servizi segreti italiani, realizzato da personale di manovra neofascista“, questa strage rivela il coinvolgimento di poteri occulti e deviazioni istituzionali che hanno colpito al cuore la nostra società. “Le vittime della strage di Bologna erano persone qualunque, diventate strumenti di lotta politica violenta. Gli obiettivi erano la democrazia“, un attacco mirato a minare le fondamenta dello Stato democratico. Eppure, “L’Unione fa la forza. Noi, come Bologna, siamo riusciti ad ottenere delle verità“, dimostrando che la collaborazione e la determinazione possono portare a risultati concreti. “Ci sono persone e persone. Ci sono giudici e altri tipi di persone“, coloro che servono lo Stato con integrità si distinguono da chi lo tradisce. Per questo, “dobbiamo credere nello Stato, ma in quello Stato che siamo noi, le migliori persone, quelle che non tradiscono il giuramento costituzionale“, un invito a costruire collettivamente uno Stato giusto e fedele ai suoi principi. “Grazie ai giovani che hanno capito che non stiamo commemorando solo le vittime, ma una storia dove la democrazia era a rischio“, perché la consapevolezza storica delle nuove generazioni è cruciale. Tuttavia, “C’era un sistema. Se ci sono stati depistaggi nel 2009, nel 2020, quel sistema è ancora protetto“, una denuncia della persistenza di forze che occultano la verità. Per questo, “Dobbiamo educare il pubblico a conoscere, a imparare, a comprendere“, affinché la memoria e la consapevolezza collettiva diventino baluardi contro ogni tentativo di insabbiare la giustizia e la democrazia. Nino Morana, nipote di Vincenzo Agostino, denuncia con forza i depistaggi che hanno segnato il caso: “La scomparsa degli appunti di mio zio Nino costituisce un episodio emblematico, parallelo alla sparizione dell’agenda rossa di Paolo Borsellino: serviva a cancellare non solo la persona, ma anche la sua voce, il suo lavoro e il suo lascito”. Gli appunti trovati nell’armadio di Nino, sequestrati il 6 agosto 1989, sono spariti, proprio come l’agenda rossa di Borsellino, per occultare verità scomode. La narrazione ufficiale ha cercato di ridimensionare l’omicidio a una questione passionale: “La narrazione ufficiale fu indirizzata verso una versione di comodo, alimentata da una pista passionale infondata, orchestrata da depistaggi istituzionali”, guidati da Arnaldo La Barbera. La sentenza della Cassazione del 30 gennaio 2025, che ha dichiarato la prescrizione per Ida, è un duro colpo: “La vergognosa sentenza in Cassazione del 30 gennaio 2025 ha profanato la vita e la morte di Ida Castelluccio, considerata una vittima collaterale e non un obiettivo premeditato”. Per questo, la famiglia ha deciso di rivolgersi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo: “Abbiamo deciso di adire la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per la persistente inerzia dello Stato italiano nel garantire verità e giustizia sull’omicidio dei nostri cari”, avvenuto quasi 36 anni fa. Nino conclude con un appello: “Il diritto alla verità dovrebbe essere inserito nella Costituzione antifascista, costantemente calpestata e tuttora sporca del sangue dei nostri martiri”.
Giuseppe Galasso: contro il silenzio e la complicità
“È un filo caratterizzato purtroppo da elementi in comune, da depistaggi, da strategie parallele, da presenze puntuali e costanti di massonerie e servizi segreti deviati, da collusioni e connivenze.” Ha detto Giuseppe Galasso, coordinatore delle agende rosse di Siena. Le stragi italiane – da quelle di mafia a quelle politiche – non sono episodi isolati, ma tessere di un disegno torbido che chiama in causa apparati dello Stato e poteri occulti. Un filo oscuro che ha attraversato decenni di storia repubblicana, macchiandola di sangue e di silenzi.
“Sicuramente questa è la fotografia peggiore che uno Stato democratico possa offrire di sé.” È una denuncia netta, che fotografa il punto più basso della credibilità istituzionale: quando chi dovrebbe garantire legalità e giustizia si rende complice, o peggio regista, di deviazioni criminali.
“Le peggiori espressioni di una società che voglia definirsi civile e che invece, impunite, albergano comodamente in stanze di palazzi istituzionali dello Stato.” È qui che l’indignazione diventa necessità politica e morale: non si può più tollerare che chi ha tradito la Repubblica resti al riparo del potere, protetto da reti di complicità e omertà istituzionale.
“Il tempo non cancella né il ricordo né lenisce il dolore delle perdite e dell’orrore. E non c’è nemmeno più spazio per le lacrime, ma solo perché queste lacrime sono ormai finite.” Le vittime e i familiari hanno pagato un prezzo altissimo, ma oggi sono anche la voce più lucida e determinata nel pretendere verità e giustizia. “È necessario poter sviluppare un rinnovato atteggiamento di responsabilità, che sia necessario per il raggiungimento di verità che non sono assolutamente più procrastinabili.” È tempo di interrompere ogni forma di attesa e di rinvio. Le verità negate non possono più essere coperte da ragion di Stato o convenienze politiche.
“Nel dicembre del 2024 le associazioni di familiari e singoli familiari di vittime di stragi e attentati di mafia e terrorismo hanno ritenuto immaturi i tempi per costituire un coordinamento nazionale.” Ma oggi quella consapevolezza si è trasformata in esigenza. C’è bisogno di una rappresentanza unitaria, forte, determinata a rompere ogni muro di gomma. “Vorremmo che questa possa essere anche l’occasione, oltre il silenzio commemorativo, per fare arrivare un nostro messaggio chiaro.” Non basta più ricordare, occorre agire, prendere posizione, denunciare con forza ciò che ancora non è stato detto. “Abbiamo manifestato la nostra posizione preoccupata e critica nei confronti di certe derive liberticide e atteggiamenti del governo lesivi di libertà e diritti sanciti dalla Costituzione.” In uno Stato democratico non possono essere tollerati attacchi subdoli o diretti alle libertà fondamentali. Le leggi e le istituzioni devono servire i cittadini, non reprimerli.
“La risposta più eloquente è stata il silenzio.” Un silenzio che pesa come un macigno e che suona come una rinuncia della politica e delle istituzioni a svolgere il proprio dovere.
“Un silenzio che ci preoccupa soprattutto quando artefici ne siano la politica tutta e gran parte della stampa, che con detto atteggiamento ci appaiono complici di un unico progetto: quello di far precipitare nell’oblio un passato scomodo.” Non si tratta più solo di omissione, ma di una strategia deliberata di cancellazione della memoria e della verità.
“Vogliamo rivolgerci a quella politica, assente e silente anch’essa, affinché, oltre ogni demagogico o populistico atteggiamento, non si presti ad alcun compromesso.” È un appello che chiama in causa la coscienza di chi siede nelle istituzioni: o si sta dalla parte della giustizia, o dalla parte della menzogna. “Ogni omissione in questo senso non potremo giustificarla né considerarla una miope visione di fatti, ma la condanneremo fortemente come una inaccettabile malafede.” Perché tacere oggi, di fronte a tutto questo, non è più solo una colpa: è una complicità.
La ricerca delle verità sulle stragi di Stato
“Dal punto di vista storico – ha detto Rosaria Manzo dell’associazione dei familiari delle vittime del rapido 904 – ci sembrano ormai in qualche modo chiari, non lo sono assolutamente dal punto di vista giudiziario. Siamo ancora alla ricerca di verità e giustizia e essere presenti oggi, qui, tutti insieme, molti familiari di vittime delle stragi, di mafia e non solo, è proprio un modo per far sentire la nostra voce, è un modo per gridare insieme la nostra ricerca di verità e giustizia. Da soli i familiari non possiamo farlo. Quindi vedere tante persone della società civile essere presenti oggi e gridare questa forza e questa voglia insieme a noi, verità e giustizia, è l’unica cosa che ci spinge ancora ad andare avanti. Quindi grazie a chi oggi è presente, grazie a chi continua a lottare al nostro fianco, abbiamo sempre più bisogno di essere uniti e di far sentire la nostra voce”.
“Non la vogliamo per una sorta di vendetta nei confronti di chi si è macchiato di tanti orrendi delitti – ha ribadito Daniele Gabrielli che è il vicepresidente dell’associazione tra i familiari della strage di via dei Georgofili a Firenze del 27 maggio 1993 –non solo, ma perché noi non possiamo correre il rischio che certe perverse dinamiche, se non disvelate, possano sempre riproporsi, soprattutto nei momenti di grave incertezza della vita democratica del nostro paese e nelle crisi internazionali. Sono proprio le logiche che si stanno riproponendo in questi ultimi anni di divisione del mondo in sfere di influenza con paesi che si vorrebbero a sovranità e a democrazia limitata e allora contrastando il sentimento che anche oggi ho sentito di frustrazione che continua spesso a farci disperare vogliamo credere che la verità, proprio grazie alla nostra volontà, al nostro impegno, alla nostra testimonianza, al meglio dell’opinione pubblica, sia oggi più vicina e a portata della nostra mano”.
A concludere è stato l’avvocato Federico Sinicato, rappresentante dei familiari delle vittime della strage di Piazza Fontana a Milano: “Dopo Piazza Fontana c’è stata la strage di Piazza della Loggia, Bologna, ce ne sono state molte altre e Via D’Amelio è stato il punto d’arrivo; è però anche il punto di partenza di un altrettanto straordinario attacco alle istituzioni democratiche. Quindi abbiamo una colleganza, una vicinanza noi come Associazione dei Familiari di Piazza Fontana con tutti voi che ribadiamo in questa occasione. Crediamo profondamente che soltanto la completa verità su Piazza Fontana, così come sulla strage di Via d’Amelio, possa porre le basi per un nuovo patto di convivenza democratica in questo paese, in cui le nebbie siano sciolte e diradate e in cui si riconosca finalmente la verità di quelle le scelte politiche, le responsabilità politiche e non solo quelle giudiziarie di quello che è avvenuto. Noi siamo convinti che soltanto in questo modo la nostra democrazia possa tornare a riprendere la sua strada ed è per questo che pur non potendo essere presenti personalmente a Palermo con voi siamo con voi col cuore, con la mente e con l’energia necessaria per fare un altro pezzo di strada insieme“.
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