Una cooperativa dedicata al magistrato Rosario Livatino

L'inchiesta di Maurizio Torrealta

Nel nostro animo siciliano è impressa la citazione del Gattopardo, di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, “cambiare tutto per non cambiare nulla”. Eppure  alcuni processi di cambiamento sono in atto; ne ho avuto, ancora una volta, dimostrazione trovandomi nella terra che 26 anni fa ha pianto il giudice Rosario Livatino, assassinato per mano degli stiddari, dove lo scorso giugno è nata la sesta cooperativa di Libera Terra, la quale porta proprio il nome del magistrato. Cinque giovani dell’agrigentino, dopo esser stati selezionati tra circa 300 partecipanti, hanno costituito la Cooperativa “Rosario Livatino” – Libera Terra, che ha avuto assegnati ben 270 ettari distribuiti in tre zone.
Parlo con il Presidente, Giovanni Lo Iacono, il quale mi racconta che in questi mesi si sono occupati di attività di carattere sociale ma che da domani inizierà la sfida della messa in produzione delle terre che hanno avuto assegnati dal “Consorzio Agrigentino per lo Sviluppo e la Legalità”. Ci troviamo a chiacchierare in contrada Robadao, un posto meraviglioso da dove si vede il Comune di Naro, in cui è stato realizzato un centro aggregativo, finanziato con il PON Sicurezza, ma che già ha subito il furto della cucina, delle sedie, porte e il rame degli impianti. Terre difficili dove si cerca di affermare il principio della normalità del riutilizzo sociale dei beni confiscati alla mafia. In un’altra contrada, Gibbesi, hanno anche vecchio baglio di 4000 mq e sognano di poter realizzare un bell’agriturismo in una zona dove non esistono strutture ricettive.
“Libera è una realtà eccezionale, ci dice Giovanni, che ha avuto l’intuizione di fare rete per contrastare la rete mafiosa e permette di contrastare l’illegalità con un sistema legale”. Parole dette con il cuore cui bisogna aggiungere che la bellezza di questo giorno sta nel fatto che il “giudice ragazzino” da oggi in poi rivivrà nelle braccia dei giovani di questa cooperativa. Questi ragazzi metteranno a frutto le terre che erano della mafia per sancire la vittoria di quello stato per cui Livatino ha perso la vita. Oggi mettono in pratica le parole e il pensiero del giovane magistrato: “Alla fine della vita, quando moriremo, nessuno ci verrà a chiedere se siamo stati credenti, ma credibili”.