Separare le carriere consegna i pm a governo e politica

Separazione carriere

L’inaugurazione dell’anno giudiziario a Torino, come in ogni altra città, quest’anno è stata caratterizzata da una compatta protesta dei magistrati, che  – in mano la Costituzione e una coccarda tricolore sulla toga – hanno abbandonato l’aula quando ha cominciato a parlare il rappresentante del Governo.

La protesta riguarda l’introduzione della separazione delle carriere tra pubblici ministeri e giudici. Sul tema, l’inaugurazione dell’anno giudiziario ha registrato anche le univoche e forti critiche del Presidente della Corte d’appello Edoardo Barelli e del procuratore generale Lucia Musti.

La questione nasce – una  cinquantina di anni fa – dallo sviluppo ad ampio raggio dell’azione penale a opera di una magistratura che ha “scoperto” la Costituzione e l’obbedienza soltanto alla legge che essa le impone, garantendole piena indipendenza. Così la magistratura, invece di limitarsi a far volare gli stracci, ha cominciato anche a occuparsi di soggetti “forti”,  che hanno reagito, capeggiati da Licio Gelli e Silvio Berlusconi, chiedendo appunto la separazione.

Si tratta però – ora come allora – di una prospettiva inaccettabile (checché ne pensi quell’anima bella del ministro Nordio): perché il Pm – se è inserito nella cultura della giurisdizione – deve rigorosamente osservare l’obbligo di ricercare la verità e nient’altro che la verità; mentre – se si separa  da tale cultura – si trasforma in un avvocato dell’accusa che può legittimamente perseguire obiettivi di parte prestabiliti.

Ma un corpo separato di pubblici ministeri è destinato inevitabilmente a perdere l’indipendenza dal potere esecutivo: non esiste, infatti, un tertium dotato di autonomia tra ordine giudiziario ed esecutivo. E non è democraticamente ammissibile l’irresponsabilità politica di un apparato di funzionari pubblici numericamente ridotto (poco più di 2.000 unità), altamente specializzato, con ampie garanzie di status, preposto in via esclusiva all’esercizio dell’azione penale. Questo potere o è compensato dall’ ancoraggio alla giurisdizione, oppure deve essere riportato alla sfera politica.

Ed è esattamente quello che succede in tutti i paesi che hanno la separazione, col governo che può dire al Pm di fare questo e non quest’altro, di occuparsi di Tizio e non di Caio: ed è la fine dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.

Conviene introdurre anche da noi questo sistema? Altrove può funzionare perché la politica è “discreta”, mentre da noi purtroppo soffre ancora di un diffuso inquinamento per i frequenti rapporti di suoi esponenti – anche di rilievo – con il malaffare (fino alla corruzione e  alla mafia).

Ora, consentire a “questa” politica di indirizzare le indagini sarebbe come aprire alla volpe il pollaio. Un pericolo esiziale per lo stato di diritto.

Per cui la protesta dei magistrati è in difesa della Costituzione. Non certo per scopi corporativi come si vuol far credere.

Fonte: Corriere della Sera/Torino