Sembra una malattia ereditaria. Qualcuno ha creato in laboratorio il virus e il virus se ne è uscito contagiando gli spiriti più deboli, selettivamente, una generazione antimafia dopo l’altra.
Volete sapere di che virus si tratta? Giusta domanda. Il virus è quello che la moderna medicina psichiatrica chiama speculum rhetoricae. E consiste nella pulsione a combattere ogni apparenza di retorica producendo una retorica più grande. Specularmente. Il suo habitat ideale sono i grandi riti di pubblico ricordo.
Chi ne è affetto, tendenzialmente giovane e dall’aspetto ribelle, si distingue infatti nelle commemorazioni delle vittime di mafia, soprattutto se simboliche. In quei casi la sua pulsione si fa irresistibile appena la rievocazione susciti l’emozione dei presenti.
In tali occasioni, a lungo e sapientemente attese, il portatore del virus si lancia a esibire la propria identità “anticonformista” brandendo una frase a effetto, che suona più o meno così: “non parliamo di eroi, sono state persone normali che hanno fatto solo il loro dovere”. Nella sua immaginazione la recitazione della frase, secca e assertiva, diventa apoteosi dello spirito critico, sotto il cui urto è destinata a franare rovinosamente e finalmente ogni retorica patriottica.
Capiamolo, insomma, abbandoniamo la retorica dell’antimafia, e diventiamo adulti una buona volta. Eroi? Ci pensino i funzionari incravattati in doppio petto a usare questo dizionario bellicista e da sussidiario. Noi riportiamo la storia alla realtà.
Magistrati a cui era impedito di fare i magistrati, poliziotti a cui era impedito di fare i poliziotti. Sono morti solo perché… E già quel “solo” ha un che di offensivo. Come se, di mestiere, le vittime in questione registrassero nomi all’anagrafe. Finché a coronamento arriva la dimostrazione suprema: ve lo ricordate Brecht? Beato il popolo che non ha bisogno di eroi. Quindi meglio non averne.
Conveniamone: qui il virus dà veramente il meglio di sé. Perché sarà anche beato il popolo che non ha bisogno di eroi. Però disgraziato quello che quando ne ha bisogno non ne trova. E vuole la storia -quella vera- che il nostro popolo purtroppo ne abbia avuto bisogno (non essendo stato affatto beato…). E che per fortuna ne abbia trovati, anche tanti.
Il problema è che il virus attecchisce proprio invocando le ragioni della lotta alla mafia. Spiegando, i suoi portatori, che più si parla di eroi più si scoraggia la partecipazione dei cittadini normali e se ne spengono le passioni civili. Come se le coscienze collettive non si formassero attorno ai grandi esempi. Come se le grandi culture civili non si siano nutrite di miti e leggende “vere”. O non fu proprio dopo le stragi del ’92 che i ragazzi si andarono iscrivendo in massa a giurisprudenza per fare “come Falcone e Borsellino”?
I retori dell’antiretorica non lo sanno. Sostituiscono agli studi la loro immaginazione. E, a dirla tutta, non sanno nemmeno cosa sia il rispetto che dobbiamo a chi ha dato la vita per noi.
Perché a volte verrebbe da prendere qualcuno per il bavero e chiedergli: “e chi sei tu, carino, per affermare che fecero solo (o “semplicemente”) il proprio dovere? Chi ti ha iniettato questa dose micidiale di ignoranza e presunzione?
Era dovere del commissario Montana cercare i latitanti con la sua auto privata?
Era dovere di Falcone creare la Procura nazionale antimafia che nessuno voleva?
Era dovere di Pio La Torre mollare il parlamento a Roma per andare a Palermo tra le mattanze di mafia? O il suo (più quieto) dovere non era quello di stare in aula e fare buone interpellanze?
Ed era forse dovere di Libero Grassi andare in tivù a sfidare pubblicamente Cosa Nostra?” Eccetera eccetera.
Ecco quello che l’antimafia davvero non può fare: dare libero corso al virus, allevare ragazzi supponenti che in nome dell’antiretorica diffondano (eroicamente?) la più insultante delle retoriche.
Fonte: Il Fatto Quotidiano, 28/07/2025



