Sono già trascorsi dieci anni da quel 9 luglio 2015, quando Santo Della Volpe, il nostro direttore, se ne è andato, stroncato da un male terribile che non gli ha lasciato scampo. Quattro anni prima la stessa sorte era toccata a Roberto Morrione, fondatore e primo direttore di Libera Informazione.
Entrambi erano giornalisti di vaglia e professionisti specchiati di quella Rai che era innanzitutto ‘servizio pubblico’ e di cui, oggi, si fa davvero fatica a trovare traccia, se non in poche esperienze che producono lavori giornalistici degni di questo nome. E che non a caso sono sotto tiro da parte dell’attuale maggioranza politica, come avviene per Report e Presa Diretta, solo per citare i due casi più eclatanti.
Ho già ricordato Santo negli anni passati e, in particolare, qualche mese dopo la sua scomparsa. Proprio in quella circostanza ho avuto modo raccontare come, all’inizio del nostro rapporto umano e professionale, le cose non fossero affatto andate bene. Troppa fresca era la sofferenza del distacco da Roberto, di cui tutta la redazione si sentiva drammaticamente orfana e le discussioni e le frizioni non erano mancate tra di noi, in ragione della profonda diversità di opinioni. Rileggendo ora quanto avvenuto con il giusto distacco che il tempo offre, devo oggi riconoscere di essere stato ai tempi troppo duro con Santo, preoccupato come era di non disperdere il prezioso lascito di Morrione, ma al tempo stesso di dare una personale impronta al lavoro giornalistico di una piccola redazione quale era la nostra, anche in ragione del suo lungo cursus honorum in Rai.
La prova del fatto che sia riuscito a orientare significativamente il percorso di Libera Informazione è offerta dai risultati del lavoro svolto concretamente in quei quattro anni che, dal 2011 al 2015, abbiamo trascorso insieme. Pochi accenni per capire di cosa si parla.
Accanto al quotidiano lavoro svolto egregiamente dalla giovane ma infaticabile redazione – Norma Ferrara, Gaetano Liardo, Giacomo Governatori – che riuscì a superare indenne l’oggettivo momento di sbandamento, Santo volle che fossero realizzati alcuni progetti che dovevano qualificare il ruolo di Libera Informazione dentro Libera ma soprattutto fuori la rete di associazioni antimafia.
Il primo progetto fu la realizzazione di “Diffamazioni e diffamati”, un importante convegno nazionale nell’ottobre 2012 sulle querele temerarie che, seguendo le tracce di un precedente appuntamento organizzato da Morrione soltanto due anni prima, servì a porre in modo efficace e definitivo il tema che, fino a quel momento, era patrimonio di pochi avvocati e di qualche collega finito nella morsa di spropositate richieste di risarcimento in sede civile. Da allora in poi la questione entrò nell’agenda delle organizzazioni sindacali e delle diverse rappresentanze della categoria, tanto da diventare oggi uno dei punti nodali nella difesa della professione giornalistica.
Nello stesso periodo prendeva le mosse e si realizzava il corso di informazione e formazione “Carte in regola. Etica professionale e responsabilità civile” organizzato con il Comitato Unitario delle Professioni di Modena tra il 2012 e il 2013, prima significativa occasione a livello nazionale di studio e riflessione per gli ordini professionali su fenomeni come mafie e corruzione.
Il lavoro e la collaborazione in Emilia-Romagna con istituzioni, associazioni, ordini professionali, scuole ed università portò Libera Informazione nel mezzo del dibattito politico e civile allora in pieno svolgimento sulla diffusione del crimine organizzato al nord, in seguito ad operazioni antimafia eclatanti come Crimine-Infinito in Lombardia, Minotauro in Piemonte per arrivare nel 2015 proprio ad Aemilia.
Infatti, quando il 28 gennaio del 2015, la Direzione Distrettuale Antimafia di Bologna, in collaborazione con le Dda di Catanzaro e Brescia, fece eseguire più di 160 ordini di custodia cautelare in tutta Italia, con oltre 200 persone indagate e beni confiscati per circa 100 milioni di euro di valore, Libera Informazione c’era e da tempo.
Fu così possibile realizzare in tempi record l’ultimo dei dossier “Mosaico di mafie e antimafia” che curavamo da qualche anno per l’Assemblea Legislativa dell’Emilia-Romagna, intitolato “Aemilia: un terremoto di nome ‘ndrangheta” e, poco prima della Giornata della memoria e dell’impegno che, quell’anno, Libera portò proprio a Bologna, offrirlo alla pubblica opinione nel corso di un’affollata conferenza stampa. In un mese scarso avevamo realizzato un vero e proprio instant book, un documentato prodotto giornalistico di cui Santo andava veramente fiero, forte di una coesione interna a Libera Informazione che finalmente, misurandosi sul campo, spalla a spalla, eravamo riusciti tutti insieme a realizzare.
Non potevamo certo pensare che tutto sarebbe precipitato nel giro di pochissimi mesi, nonostante le precedenti avvisaglie e l’incombere di una malattia che andava sottraendo a Santo energia e tempo.
Energia e tempo che profuse fino all’ultimo anche in qualità di presidente della Federazione Nazionale della Stampa Italiana nel breve periodo di vita che gli fu concesso.
Anche in quest’ultima esperienza riversò l’appassionante difesa di diritti fondamentali, quali lavoro e salute (memorabili i servizi sull’Eternit di Casale Monferrato), l’impegno costante per la pace (a partire dai racconti sulla marcia PerugiaAssisi), la denuncia puntuale di mafie e corruzione (quanti ‘processi del secolo’ aveva seguito), la ricerca senza sosta di verità e giustizia per vittime più o meno famose (Ilaria Alpi e Miran Hrovatin ovviamente, ma non solo).
Tante istancabili battaglie, ingaggiate con l’unica arma che un uomo di pace come Santo poteva concedersi – la parola -, sempre animato dalla volontà di capire prima e raccontare poi, qualità non scontate per quanti svolgono la nostra professione.
In queste ore, dove tanti, forse troppi, si affrettano a ricordare la loro amicizia con lui, ben sapendo quale valore Santo attribuiva a questo sentimento, preferisco dire che il nostro rapporto è stato di scontro e confronto, ma che, forte di una raggiunta sintonia e acquisita fiducia reciproca, forse sarebbe potuto diventare altro.
E questo è tra i rimpianti più grandi di quella stagione indimenticabile di Libera Informazione, guidata da Santo Della Volpe.



