Report di Ranucci? Tu che ne dici? Io dico che piace

Ranucci

Si sta diffondendo, in quotidiani grandi e piccoli, l’usanza di accompagnare la titolazione di articoli su argomenti scabrosi e delicati, che poi fa lo stesso, con la frase “Cosa sappiamo”, quasi a lasciar sottintendere al lettore che potrà attendersi nient’altro che elencazione di fatti, rinunciando a chiedersi cosa pensi il giornale sull’argomento in questione.

Insomma, è l’ostentazione di un giornalismo che usa i guanti, lealmente comunicata ai propri lettori.

Poi si è diffusa anche la circonlocuzione “hanno tutti ragione”, ancora più sfacciata, quando si vuol tenere la bocca cucita a uso e consumo del manovratore di turno.

Oggi ci limitiamo a scrivere per dirvi solo “quello che sappiamo noi”. Vediamo.

Sappiamo che più il potere di governo fa di tutto per zittire la squadra di Report e del suo conduttore Sigfrido Ranucci, più questo format corsaro della Rai schizza in alto, quanto ad ascolti e share. Sappiamo, in altre parole, che la gente ha sete e fame di giornalismo d’inchiesta.

Per inciso, si potrebbe dire: “Report di Ranucci”? Tu che ne dici? Io dico che piace”, parafrasando Tognazzi e Vianello, in un esilarante filmato Rai del 1959. Altre Rai!

Sappiamo che la solidarietà a Ranucci, all’indomani del vile agguato sotto casa sua, in presenza dell’intera famiglia, rappresentava – e qui citeremo un verso di Majakovskij, “il disperato tentativo di voler riscaldare un gelato”.

Solidarietà effimera e fuggevole, fredda, da prefiche che ululavano a un funerale (fortunatamente) mancato.

Sappiamo infatti, ma sulla cifra potremmo essere imprecisi, che sulle spalle di Ranucci e della sua brigata si sono scaricate qualcosa come 224 denunce, denuncia più denuncia meno. A vario titolo e di varia natura.

Di molti autori di questa inedita forma di libero pensiero (portare qualcuno in tribunale), conosciamo i nomi.

Scegliamo fior da fiore: l’intero Partito di Fratelli d’Italia; il presidente del Senato, Ignazio La Russa; il ministro dell’economia, Giancarlo Giorgetti, insieme alla moglie e alla sorella; il ministro dell’agricoltura Adolfo Urso; l’intera famiglia Berlusconi; l’onorevole Marta Fascina; i sottosegretari Giovanbattista Fazzolari, Isabella Rauti e il capo di gabinetto della premier Giorgia Meloni, Gaetano Caputi.

Questo è quello, il poco, che sappiamo. E non arriviamo neanche al dieci per cento del totale. Sappiamo, infine, che neanche una querela è stata ritirata, nonostante l’appello rispettabile, da destra, provenuto da Francesco Storace, che è uomo di quel mondo.

E sappiamo anche che quelle querele sono mescolate fra loro, provenendo da ambienti non solo politici ma anche affaristici, delinquenziali, mafiosi, perché la caccia al giornalista d’inchiesta si avvale sempre di una particolare “par condicio”, soprattutto ai livelli più bassi della vita politica. E Ranucci, e anche questo gli va riconosciuto, ha chiesto che la politica affronti l’intera faccenda delle querele temerarie, più che togliere la querela a questo e a quello.

Cosa sappiamo?

Per esempio, che il garante della privacy ha inflitto una sanzione da 150 mila euro a Report. Gli spettatori di Report, l’altra sera, sono stati abbondantemente informati sulle condizioni igienico politiche di quella “cucina” che ha cucinato quella sanzione pecuniaria in nome del rispetto della “privacy”.

Ora – e finalmente, verrebbe da dire – l’opposizione chiede a gran voce che si dimetta in blocco tutta l’Authority. Ben detto. Ma con buona pace di tutti gli italiani, neanche questa volta si dimetterà nessuno. E vorremmo sbagliarci.

Ma quale “amichettismo” di destra. Qui siamo di fronte a una Catena di Sant’Antonio di parentele che unisce sagre del Fungo Porcino e cori su faccette nere dell’Abissinia; concorsi e borse di studio in università che sfuggono ai radar; e Case nere che il volenteroso ministro dell’Interno Piantedosi vorrebbe tanto chiudere ma ha le mani legate; e cliniche private i cui ricavi finiscono a alimentare giornali che non vendono ma fanno caciara; e centri d’Accoglienza per immigrati in Albania, come grandi Hotel senza clienti, ma dove sino all’ultimo cameriere e portiere di notte hanno vitto alloggio e stipendio garantiti; e incappucciati neri che scorazzano da Parma a Capo Passero, insomma: una classe politica che se la canta e se la suona, ma ha qualche problema con i direttori d’orchestra.

Venezia docet.

La rubrica di Saverio Lodato

Fonte: Antimafia DUEMILA