Ma che bel castello, marcondirondirondello…
È una delle filastrocche più amate dai bambini, che la cantano in automatico. Come in automatico vanno certe argomentazioni quando partono i dibattiti pubblici un po’ urticanti.
Ultimamente ci è finita dentro una dei migliori funzionari dello Stato italiano: la già prefetta di Reggio Emilia e di Palermo, e oggi consigliera di Stato, Antonella De Miro. Che conobbi quando scrissi con Federica Cabras il libro sulla ‘ndrangheta a Reggio Emilia.
Mi sconcertò allora verificare che per scoprire la presenza (e che presenza!) mafiosa nella capitale del modello emiliano ci fosse stato bisogno di una prefetta siciliana, mentre a Reggio (la famosa città con gli anticorpi…) non se ne era accorto nessuno, anzi quasi tutti la negavano con sussiego. Fu lei a imporre la svolta che portò al commissariamento di Brescello, e al processo spartiacque, Aemilia, che qualche benpensante reggiano avrebbe voluto far celebrare altrove, vuoi mettere l’immagine della città…
Bene, che cosa ha combinato ora la prefetta? In una cerimonia promossa in suo onore a Rubiera, provincia di Reggio, ha proposto di cancellare dalla toponomastica del capoluogo viale Cutro, il paese calabrese da cui il clan dei Grande Aracri è andato alla conquista dell’economia locale.
Le reazioni contro si sono sprecate. Si è spiegata l’intitolazione con il contributo dato dai muratori di Cutro, attraverso le cooperative emiliane ma soprattutto attraverso le imprese calabresi, all’economia reggiana; e con la presenza sul posto di migliaia di cittadini cutresi.
Purtroppo vi è anche un’altra spiegazione: il pratico inchino della città emiliana, modello di storia e di civiltà, al potere di Cutro, come succede classicamente con le processioni, apparentemente innocenti, dei vari santi protettori calabresi nelle città del Nord. Paiono gemellaggi solidali e sono altro.
Non fa fino dirlo ma è da polli non capirlo, e non rende onore all’intelligenza negarlo. O altrimenti: perché i candidati sindaci di Reggio andavano in visita a Cutro in campagna elettorale, unico esempio in Italia di campagna elettorale a mille chilometri dagli elettori? E perché intitolare proprio la strada che dai ponti di Calatrava entra trionfalmente in città?
Diciamo che De Miro ha dimostrato una volta di più il suo coraggio civile. Io forse non l’avrei detto, proprio per via del Marcondirondirondello.
Ma non mi convincono le reazioni “antirazziste”. Secondo cui non dovrebbero esistere, a questa stregua, vie dedicate a città (come Napoli o Catania o Palermo, si è detto) segnate da una forte presenza mafiosa. Lo ha scritto anche Enzo Ciconte, il maggiore storico della ‘ndrangheta e a lungo consulente del Pci emiliano (e reggiano).
Il problema qui però è un altro. Non è la presenza dei criminali a Cutro, ma la pretesa di quegli stessi criminali di “colonizzare” la città in cui operano in trasferta, basta leggere gli atti di Aemilia per capirlo. Si farebbe torto ingiustamente a tutti i cutresi onesti? È una questione che non mi sfugge.
E quindi faccio una proposta in grado di tenerne conto, e di rompere al contempo ogni ambiguità (perché l’ambiguità esiste e in questi casi non è proprio consentita).
Si intitoli viale Cutro ai pescatori di Cutro che di fronte al naufragio del ’23 rappresentarono l’umanità di tutti noi. Come Vincenzo Luciano, pescatore, soccorritore eroico: “Non pensavo alla mia vita ma a salvarli”. Parole scolpite nella memoria degli italiani. La gente di Cutro (che è quella che conta) sarà orgogliosa che i valori storici di Reggio vengano riconosciuti in propri concittadini. Che dei cutresi siano presi a esempio per il loro sentimento di fratellanza coraggiosa verso migranti innocenti uccisi dal mare e dagli uomini.
Sogno una targa così: “Via pescatori di Cutro, 25-26 febbraio 2023”. Che bella festa quel giorno a Cutro. E anche a Reggio. Io ci sarò, parola d’onore.
Fonte: Il Fatto Quotidiano, 14/07/2025



