L’annunciato «Centro europeo per la resilienza democratica per contrastare le campagne di disinformazione», fiore all’occhiello esibito da Ursula von der Leyen, è pieno di insidie. Proprio per quella libertà di informazione che si vorrebbe tutelare dalle fake news, categoria passepartout in cui tutte le vacche sono nere.
Che vi sia un rischio effettivo di confusione tra verità e pseudo-verità, di sovrapposizione tra reale e false rappresentazioni non vi è dubbio. Nell’età delle intelligenze artificiali il pericolo è immanente ed evoca uno dei conflitti della stagione che viviamo, strutturata dal e sul capitalismo delle piattaforme.
Di questo stiamo parlando, vale a dire del cambiamento radicale in atto della nobile teoria marxiana del valore, nel momento in cui dall’astrazione si passa all’estrazione: dall’unità di misura attribuita al lavoro vivo, alla conquista predatoria dei dati personali. In simile contesto, la supervelocità delle connessioni e l’enorme capacità di ri-uso subdolo di parole, voci ed immagini sono il terreno di coltura ideale per le menzogne mascherate in un packaging credibile. Tuttavia, per ovviare a simili rischi serve l’applicazione effettiva di Regolamenti significativi come il Digital Services Act (Dsa) e l’European Media Freedom Act (Emfa), piuttosto chiari proprio sulla questione della correttezza e della attendibilità dell’informazione.
Non sarà un caso se l’amministrazione di Donald Trump (e del suo vice JD Vance) istruita dalle orribili teorie di Peter Thiel è all’attacco e ricatta l’Ue sulla tradizione di quest’ultima a normare i fenomeni evitando di soccombere agli spiriti animali dei mercati. Purtroppo, da anni la Commissione di Bruxelles è divenuta assai fragile e subalterna nei riguardi della prepotenza delle Big Tech supportate dalla Casa Bianca. Tale incertezza nella difesa dello spazio pubblico, che pure fu una delle caratteristiche costitutive dell’Unione, ha facilitato la cavalcata trumpiana e la dittatura degli algoritmi.
Insomma, se si intende davvero contrastare le fake è indispensabile partire da qui. Altrimenti si sfocia facilmente nell’arbitrarietà e in un’involuzione autoritaria, di cui le prime vittime sono le esperienze mediali lontane dalle concentrazioni di potere: editoriale o politico-economico. Chi decide, e in base a quale criterio, se una notizia è una fake o una sequenza di un’inchiesta difficile che volge lo sguardo su aree che non si devono conoscere? Esistono norme deontologiche, nonché organizzazioni professionali o sindacati che a ciò sono deputati. Non sarà certo la Presidente von der Leyen a ergersi a giudice dove la lotta tra le idee e il pluralismo sono parte integrante del tessuto democratico.
Tra l’altro, a Bruxelles si muovono polarità contraddittorie. Se pare che sia stata vergata la lettera di richiamo al governo italiano per la mancata applicazione dell’Emfa, le destre che siedono nell’emiciclo di Strasburgo hanno bloccato nei giorni scorsi una missione a Roma di verifica proposta dalla Commissione per le Libertà civili del medesimo parlamento. Un occhio di intesa tra le varie destre del continente ha avuto la meglio sul rispetto dell’impianto di regole che pure sarebbero immediatamente esecutive (a differenza delle Direttive, che richiedono leggi nazionali di recepimento).
L’Europa di oggi è essa stessa una fake, dunque, sbugiardando i valori originari dell’istituzione. Spetta alle forze politiche nostrane di interagire con simile processo, per evitare che la discesa nella classifica sul tasso della libertà di informazione divenga un precipizio. Che le opposizioni si rechino a Bruxelles e a Strasburgo insieme alle associazioni della società civile, con le strutture del giornalismo e della comunicazione, per dare luogo a una protesta forte e arricchita da progetti alternativi.
PS: In merito alla legge sulla separazione delle carriere dei magistrati, il ministro Nordio ha sottolineato che il fatto che Licio Gelli la volesse non è un problema se è giusta. Già, Gelli: basta la parola, per riprendere una battuta efficacissima di uno spot di Tino Scotti.
Fonte: il manifesto



