Quale Sud. I calabresi anti-‘ndrangheta che possono salvare una terra maledetta

Caulonia

Li guardo, li ascolto, e mi convinco ancor di più di quel che penso ormai da tempo. Gli ‘ndranghetisti sono tutti calabresi; ma se un calabrese è antimafioso nessuno è più antimafioso di lui.

Sono in due, i calabresi che ho di fianco e che mi rafforzano in questo pensiero. Uno si chiama Andrea ed è di Siderno. L’altro si chiama Fabio ed è di Caulonia. Tra amici vecchi e nuovi fanno il bilancio delle loro storie.

Fabio è nato in Germania, in una famiglia calabrese, e ha poi preso la strada del “ritorno” verso la Calabria a 15 anni. Andrea invece ha preso la strada del Nord dopo l’università per andare a studiare, come si dice, “in alta Italia”. Dottorato a Milano, in studi sulla criminalità organizzata, e a Torino dove attualmente è assegnista di ricerca.

Sorseggiando verdicchio marchigiano spiegano ai loro interlocutori del Passaggi Festival il proprio rapporto con la Calabria: terra amatissima, terra maledetta. E nelle loro parole sembra rigirarsi un mondo.

Fabio, una bella faccia greca dentro ricci capelli brizzolati, spiega che la forza espulsiva della Calabria è quasi irresistibile, proprio materialmente. Il lavoro, il lavoro che non si trova, che obbliga ad andarsene, mentre in Germania, in quello che fu un giorno il bacino carbonifero, il lavoro si trova facile anche oggi. Eppure lui non ri-emigra, sembra malato di “restanza”, per usare un termine entrato sempre più diffusamente nel linguaggio delle nuove generazioni. Viene da una terra che ha avuto le sue glorie. La Repubblica di Caulonia, proclamata nel marzo 1945, come ad affermare subito e di corsa quegli ideali socialisti che la bandiera americana che risaliva per la penisola avrebbe neutralizzato, nonostante il vento del Nord. Ricorda con orgoglio le grandi riforme della terra varate allora in un pugno di giorni. Da Caulonia alle altre lotte per la libertà, che Fabio ha tradotto nel suo lavoro di musicista, nell’impeto con cui quasi svelle le corde della sua chitarra, infilando alla velocità della luce le parole del suo dialetto in un suono di rivolta e di riscatto.

Andrea ascolta ammirato il suo conterraneo, di lui più anziano di vent’anni. Sembra abbeverarsi alla memoria ben coltivata del suo amico. Lui la restanza non l’ha praticata. Se ne è andato. Ma la testa, il cuore, sono rimasti lì, con i suoi 32 anni. Gran parte della sua attività scientifica e di ricerca va verso la Calabria. Altro che forza espulsiva. Una straordinaria forza attrattiva, invece. L’economia al Nord? Indaghiamo la presenza della ‘ndrangheta negli affari lombardi. Lo sapete -chiede ironicamente- che questa estate si celebreranno i 50 anni della presenza organizzata della ‘ndrangheta in Lombardia? Amici, sferza i presenti, ricordate che questi misero su la prima “locale” a Calolziocorte, provincia di Lecco, mezzo secolo fa, svegliatevi una volta buona, altro che nuova infiltrazione. Soffre le invettive di quei conterranei che lo accusano di tornare nella sua Calabria per parlarne male. Ma non desiste. Anzi, Andrea ha anche il chiodo fisso delle cosiddette navi a perdere, ossia quelle piene di rifiuti tossici e impunemente affondate nel Tirreno, con le complicità di autorità marittime, militari e di servizi segreti. Ci ha studiato su, Andrea, ci ha dedicato anni di ricerca, restituendo con passione agli italiani la figura del capitano di marina Natale De Grazia, avvelenato per impedirgli di continuare le sue indagini sull’ affondamento di più di venti di navi.

Che coppia, Fabio e Andrea. Dovreste sentirli mentre narrano in pubblico, con il loro reading teatrale, quella vicenda; mentre la destra di Fabio violenta la chitarra e la voce di Andrea si incrina per la commozione.

Ma perché non sono questi calabresi a conquistare il Nord? Provateci, santo cielo, siete in tanti anche voi. Mettiamoci insieme, Fabio Macagnino. Mettiamoci insieme, Andrea Carnì. Magari ce la facciamo.

Fonte: Il Fatto Quotidiano, 30/06/2025