Qualcuno di giusto. Il vecchio sindacalista che non smette di dire basta alle ‘ndrine

Ferrari trentino

A vederlo sembrerebbe un unno, forse per la lunga barba grigia e la massa di capelli che lo contornano in quel paesaggio di confine. Ma più parla più sembra un Rinaldo rimasto in campo per contrastare un’ingiustizia antica. Cresciuta sulla sua terra, dove il barbaro però non è lui. Che invece è in trincea a difenderla.

Walter Ferrari è un esemplare rarissimo di sindacalista. Una di quelle figurine ormai quasi introvabili quando si deve riempire l’album della società italiana. Siamo a Lona-Lases. Comune a due anime di nemmeno 900 abitanti nella provincia di Trento.

Dove per decenni le cave di porfido ottenute in concessione da un piccolo nugolo di imprenditori sono state trattate da chi ne traeva il cosiddetto “oro rosso” come proprietà privata, di cui fare quello che più gli aggradava. Sfruttate, perforate, ribaltate fino a offrire uno spaventoso scenario dantesco che deturpa oltre ogni limite la bellezza del paesaggio.

Fino a creare il pericolo di un disastro in stile Vajont che solo una massa di soldi pubblici è riuscita a impedire mentre i proprietari abusivi si godevano il vantaggiosissimo rapporto con i clan calabresi; con un odore di ‘ndrangheta nell’aria che lo studioso riconosce al volo, ma che da un certo punto in poi anche la legge ha iniziato a sentire.

Ascolti l’unno della legalità inanellare i suoi ricordi e le sue ragioni, gettare sul tavolo i tanti torti subiti dall’ambiente e da chi ha cercato di difenderlo, come il Coordinamento lavoro porfido. Con quel sindaco degli anni novanta che parla e parla anche lui agli studenti di Milano e non smetterebbe mai, neanche fosse un impenitente logorroico e invece è uno che non ha mai trovato ascolto e cerca di sfruttare questo insperato varco di attenzione apertosi dentro la sua incredibile storia. Con quella avvocata dei pochi operai stranieri in lotta con lo sfruttamento ottocentesco che prova imbarazzo a svolgere la sua funzione accanto a un sindacato che -così risulta- ha firmato accordi da forche caudine.

Walter Ferrari racconta storie di operai senza diritti in quel paesaggio da streghe. E si infervora ripensando alle complicità appurate dalla giustizia; la quale prima di farlo ha però dovuto ripulirsi di un bel po’ di magistrati. O ripensando a una politica alleata dei cavatori, quella da “non vedo, non sento, non parlo”. E capisci che è tutto vero quel che dice.

Avrà toni poco salottieri ma racconta cose sincere. Rievoca il dolore di essere dovuto uscire da un sindacato che ha cercato di rappresentare al meglio. Ricorda quel parlamentare dai modi cialtroneschi che nel momento del conflitto più aspro si è schierato dalla parte degli sfruttatori e li ha mobilitati. Quelli da “padroni a casa nostra” e che invece sono un tappetino per gli invasori calabresi.

Che sapore di antico e di moderno insieme ha quella foga ribelle. Per fortuna non è sola. Appena poche sere fa il teatro comunale si è riempito orgogliosamente per applaudire la narrazione di questa storia che due brave insegnanti locali hanno portato in scena, trasformando in efficacissimi attori una ventina di studenti.

E che sapore di antico e di moderno ha in questo contesto quel colonnello dei carabinieri dal nome tedesco che ha schierato l’Arma dalla parte della legge dopo i troppi tradimenti locali. Ha lo sguardo dell’uomo fiero e giusto, e sa di che cosa parla. Ironizza sulle difficoltà del ruolo, cita il capitano Bellodi, il protagonista “buono” del “Giorno della civetta” di Sciascia, quello che nel romanzo rappresenta l’Italia legale. Bastano le persone giuste.

Vedete un po’ che cosa capita di vedere e di sentire quando vi avventurate per le montagne trentine. Di incontrare unni buoni, figurine quasi introvabili, carabinieri da romanzo. E un gruppo di giudici surreali di pochi anni fa che sembrano quelli spernacchiati da Fabrizio De André. Li ricordate?

Che grande cosa è l’università itinerante….

Fonte: Il Fatto Quotidiano, 15/09/2025


https://liberatestardi.websitefortest.uk/2025/09/10/mafie-ovunque-quando-anche-il-trentino-offre-occasioni-alla-ndrangheta-per-infiltrarsi/