Putin, Trump e noi. La moda del cattivismo, quanti Don Ferrante dobbiamo contestare!

Il piatto sospeso

Epoca di bulli e bulle, giusto per essere politicamente corretti. Epoca in cui si è imposto qualcosa che non si trova nei dizionari della scienza politica. Compulso con qualche fantasia i libri che hanno accompagnato la mia vita e non trovo nemmeno la parola, che infatti il computer mi sta sottolineando in rosso.

Ritrovo semmai un testo che per chi, della mia generazione, studiava economia e politica, era quasi obbligatorio. Si intitolava “L’imperialismo, fase suprema del capitalismo”. Vladimir Ilic Lenin, 1917, rivoluzione d’ottobre. Quella che voleva abbattere l’imperialismo e nel tempo ne avrebbe generato un altro, che peraltro dopo più di un secolo si sarebbe sposato col primo.

In un accesso di antiscienza (che è merce comunque di moda) penso che quel titolo può essere rifatto: “Il cattivismo, fase suprema dell’imbecillismo”. Ma sì, il cattivismo come categoria della politica priva di intelligenza. In fondo lo è stato anche il buonismo, con il suo politically correct, che ha spianato la strada a tante cose. Oggi colpisce il compiacimento senza ritegno della crudeltà, ha notato un giurista raffinato e coraggioso come Luigi Ferrajoli.

Sì, il cattivismo. Moto di un animo collettivo che vorrebbe farsi regime e spinge, come una ruspa mondiale, per diventarlo.

Tra i libri ritrovo un gioiello, da cui non è nato alcun imperialismo. Un libretto agile e denso: “Il potere dei senza potere”, 1991. Autore Vaclav Havel, l’intellettuale ceco che si fece la galera per le proprie idee, scolpite nella Carta ’77, l’anno in cui la rivolta degli intellettuali dell’Est prese forma davanti al mondo. Scriveva Havel che la democrazia e la lotta per la libertà iniziano dai piccoli segni, anche dal cartello che l’ortolano appone sulla sua merce.

Ecco, se avete la mia stessa preoccupazione circa l’attuale vertigine delle ideologie, vi consolerete se vi leggerò quello che ho trovato l’altra sera all’ingresso di una trattoria della zona Sempione di Milano.

Titolo: “Il piatto sospeso”, dove le virgolette sono costituite da due cuori. Segue un invito al viandante o all’avventore: “Regala un piatto caldo per i senzatetto a Milano! Puoi garantire un piatto caldo della nostra cucina donando 5 euro…Noi faremo il resto! Ogni giovedì consegneremo ai volontari di Voci Onlus i piatti raccolti e preparati al momento. E c’è di più. Puoi essere tu a portarlo fisicamente o puoi lasciare un messaggio personalizzato. Regala un sorriso (di nuovo tra due cuoricini). Segue Iban con causale: Piatto sospeso”.

Già, come il celebre “caffè sospeso” di alcuni bar napoletani. Scritto in gessetto su una lavagna. Così ho scoperto che i piatti caldi riscaldano i cuori anche di chi non li mangia. Che meraviglia vedere contestata così garbatamente e radicalmente l’ideologia che vorrebbe farsi regime, vedere questa resistenza morale per strada.

Tanto più mi sono sollevato perché nel mattino della stessa giornata un’amica mi aveva girato il bellissimo discorso tenuto dalla rappresentante degli studenti all’inaugurazione dell’anno accademico dell’università di Padova. Procuratevelo. Anch’esso garbato e radicale, radicalissimo. Mai irrispettoso, ma con un filo di durezza, come ogni indignazione. Pieno di umanità nell’epoca del cattivismo, pieno di verità nell’epoca della post-verità e delle menzogne planetarie (da Gaza allo stato delle libertà in Occidente), pieno di responsabilità nell’epoca delle abdicazioni. Esattamente.

Perché di fronte a quanto accade non si può abdicare. Gli errori non assolvono gli orrori, né gli orrori di grado minore assolvono quelli che schiacciano il mondo.

Quando leggo o sento certe giustificazioni offerte con saggezza causidica a Trump e a Putin mi viene in mente il don Ferrante del trentasettesimo capitolo dei “Promessi Sposi”. E ancor di più il Romeo di Shakespeare di fronte a Mercuzio che vaneggia infilando parole forbite: “Mercuzio, tu parli di nulla”.

Fonte: Il Fatto Quotidiano, 24/02/2025