Panchina rossa la trionferà. Gli anziani, la meglio gioventù tra chiacchiere e carciofi

Panchina rossa roma

Una panchina rossa in un parco. Testimonianza del tempo presente, per chi sa.

Su una targhetta laterale ha il simbolo verde e bianco-rosso della Cisl. La osservo in una splendida mattinata romana, sedendomi sulla panchina di fronte, al sole. Tutto suggerisce meditazione. Roma, la Domus Aurea e a cento metri le arcate del Colosseo. Passa un’auto dei carabinieri in ricognizione. L’autista mi guarda, mi riconosce, era un ragazzo del movimento anticamorra a Casal di Principe.

Subito dopo la panchina si popola. Arrivano due coppie di anziani molto anziani. Si aiutano tra loro con amore, una complicità più che semisecolare. Un deambulatore e un bastone si appoggiano ai legni rossi. I nuovi arrivati appaiono tutti e quattro di buon umore. Uno degli uomini è molto alto. La due signore si siedono. Gli uomini no. Ce ne starebbe uno solo, e allora per galanteria o forse perché nessuno dei due ambisce a farsi riconoscere un diritto di vecchiaia restano entrambi in piedi, davanti, quasi incollati alle signore. Non abbastanza però per insonorizzare le chiacchiere allegre delle proprie compagne. Alle quali dopo una decina di minuti si aggiunge una coetanea. Le due si spostano, la invitano a sedersi con richiami e sorrisi, tradiscono un’amicizia compagnona, “non ho potuto farmi la doccia”, “allora sei sporca”.

La scenetta che si compone da quel momento è un poetico tre più due. Da cui sgorgano in continuazione battute e racconti di vita familiare. Anche motteggi sulle rispettive condizioni fisiche. Ma soprattutto narrazioni e suggestioni gastronomiche. Specialmente ricette. Sarà per l’ora prandiale, sarà perché lì vicino le arcate del Colosseo brulicano di ristoranti per turisti, ma da quella panchina rossa mi arrivano amorevoli e orgogliosi pezzi di sapienza accumulata sul campo glorioso di più cucine.

Nel mondo succede ciò che sappiamo ma quelle persone che devono essere nate dentro un’altra guerra hanno trovato lì e in quell’ora, come me, una propria dimensione di pace. In cui la fanno da mattatrici le donne. Che parlano e commentano e si toccano. Voce mai alta, in puro accento romanesco. I due uomini annuiscono, perennemente incollati a loro. Cerco di vedere meglio le oratrici-cuoche, grandi in tutte e due le vesti. Due con gli occhiali da sole, nessuna con scarpe da ginnastica, golfini e capelli vaporosi.

Il piccolo film dura quasi mezz’ora, stupenda rappresentazione di vita quotidiana su cui ognuno dovrebbe affacciarsi. Certo non è felicità simulata. Per il minestrone lo zucchino devi tagliarlo così. La cacio e pepe è la morta sua. Ho trovato dei carciofi fantastici. Come le donne meridionali dei romanzi (e della nostra memoria), le tre amiche hanno costruito nelle proprie cucine e in un infinito passaparola una cultura forse più grande di quella appresa a scuola, da dispensare in letizia a figli e nipoti.

Scopro dentro di me, al pensarlo, una vena di malinconia ma anche di affetto disincantato. Provo a immaginare, senza riuscirci, per quali fatiche e anche dolori ognuna o ognuno di loro ha camminato fin lì attraversando i decenni. Sfilano bambini in passeggino. Cinguettano senza freno uccellini che non riconosco.

Passa di nuovo un’auto dei carabinieri. Diversa dalla precedente. Si ferma per dei controlli. Attraverso pini, ulivi, cipressi e pitosfori si scorgono, seminascosti, i segni di un’altra umanità, all’apparenza meno rassicurante. I carabinieri chiedono documenti, fanno domande. Poi risalgono in auto e se ne vanno.

Nel mentre il quadretto si è un po’ increspato. I protagonisti si alzano con i tempi e i modi richiesti dall’età. Chi il deambulatore chi il bastone, se ne vanno a braccetto.

L’ultima battuta è per quei controlli avvenuti a trenta metri da loro. “Poi scopriranno che hanno precedenti penali”. Una risata rassegnata e intrisa di filosofia della vita, saluti e baci. È l’ora del pranzo. Dalla panchina (rossa) alla tavola.

Fonte: Il Fatto Quotidiano, 17/11/2025