La prima frase, l’immagine, che la gente ha visto all’ingresso del dibattito “Giornali, informazione e opinione pubblica”, il 2 gennaio
scorso a Palazzolo Acreide (Sr) è stata la più famosa, ormai, delle
frasi di Pippo Fava: “A che serve essere vivi, se non si ha il coraggio
di lottare?”. Quella frase presentava l’evento in memoria del
giornalista ucciso il 5 gennaio a Catania da Cosa nostra, e chiunque
entrasse, anche solo animato solo da curiosità, trovava in quelle parole, poste al centro del manifesto, la straordinarietà di un messaggio semplice e vero.
Il 2 gennaio scorso a Palazzolo
Acreide, città natale di Fava, c’erano molti amici del giornalista,
alcuni che lo avevano conosciuto personalmente, altri che ne avevano apprezzato le idee e soprattutto il modo
in cui riusciva a comunicarle ai lettori. C’erano, soprattutto, i
ragazzi del “Coordinamento Fava” promotori dell’evento che hanno poi
introdotto gli ospiti: Fabio Chisari, Docente di storia sociale dei
media; Pino Maniaci, Direttore di Telejato; Gaetano Liardo, giornalista
di Liberainformazione; Pippo Guerrieri, Responsabile del mensile
“Sicilia Libertaria”; Marco Benanti, Direttore di “Catania Possibile”;
Fabio D’Urso, giornalista de “U Cuntu” e, infine, Massimiliano Perna,
de il “Megafono”.
E’ proprio con l’intervento di Guerrieri,
che sin dall’inzio del dibattito si è arrivati al tema principale:
cos’è la libertà di informazione? quando questa è veramente libera e
come renderla tale? Se l’informazione non è libera non è
informazione e per Guerrieri, condizione principale perché ciò avvenga
è l’assoluta autonomia dei giornali dai finanziamenti privati e dai
partiti, per sottolineare la sua idea cita ciò che avvenne a “Il Male”,
giornale dichiaratamente di sinistra in un momento in cui la sinistra
si trovò al potere. Il giornale – racconta Guerrieri – dovette
chiudere non sapendo più chi accusare.
Gli stessi concetti
vengono ripresi in maniera molto grintosa da Pino Maniaci, direttore di
Telejato, che comincia così il suo intervento: “Io voglio parlare di
mafia” , in ognuno dei paesini della Sicilia “si trovano sicuramente
una chiesa, una caserma dei carabinieri e… un clan mafioso”. Maniaci
prosegue scagliandosi contro la pericolosità dell’informazione
politicizzata:“Il fatto che il direttore de “il Giornale”
Feltri si permetta di accusare il Presidente della Camera Fini è
gravissimo”. Parla dei giornalisti di oggi che, dimenticandosi il ruolo
di “cani da guardia” del potere dei loro predecessori, ormai sono
arrivati ad essere chiwawa; conclude parlando della sua esperienza a
Telejato, canale televisivo di Partinico (Pa) che facendo nomi e cognomi dei mafiosi e
soprattutto “ridicolizzandoli” ha fatto dell’idea di disonorare i cosiddetti “uomini
d’onore”, una questione d’onore.
Una analisi dell’informazione, dal punto di
vista accademico, è stata data dal professore Chisari il quale ha
descritto un’Italia in cui c’è un enorme partecipazione da parte della
gente, per esempio al voto si è raggiunta l’affluenza quasi dell’80%,
ma questa voglia di partecipare non è mai riuscita a convertirsi in
consapevolezza del proprio dovere di informarsi. Questo accade
sicuramente per il fenomeno della “telecrazia” – aggiunge Chisari: la
televisione raggiunge ogni casa, ha un potere enorme e basta pensare a
chi detiene la maggior parte delle azioni televisive per avere conferma
di questa tesi. Ma non solo, anche novità interessanti, come la rete
internet, non è ancora accessibile a tutti; la banda larga italiana
infatti è assolutamente ridicola se rapportata a quella degli altri
Stati. Il mestiere del giornalista sta perdendo la sua vera qualità cioè
la vicinanza alla gente e soprattutto ai fatti, che invece molto spesso
vengono appresi tramite le agenzie di stampa, copiati con qualche
modifica e pubblicati.
Ormai sono solo i giornali
locali ad avere una sorta di “purismo” della professione ma, molto spesso, non
hanno la forza di lanciare la propria notizia a livelli nazionali. È
proprio per questo che nel 2007 è nata Liberainformazione, con
l’obiettivo di creare una rete che metta in comunicazione le
moltissime redazioni dislocate in tutto il territorio italiano che
riescono a fare informazione locale, attenta e d’inchiesta. Liberainformazione è stata rappresentata al dibattito da Gaetano Liardo che ha
precisato l’inefficienza del termine “controinformazione”, poiché molte
volte è questo tipo di giornalismo ad essere veramente informativo ed
autentico piuttosto che quello nazionale troppo spesso controllato.
Un incontro
quello del 2 gennaio a Palazzolo Acreide, che oltre ad essere un
momento di dibattito è stato anche quasi una “festa del giornalismo”
che non ha trascurato gli aspetti tecnici e legali della professione
giornalistica; fra gli altri, anche quella che lega l’esercizio della professione al tesserino giornalistico rilasciato dall’ordine dei giornalisti. Ovvero: “se le qualità che un giornalista
deve avere possano essere rappresentate da quello che, per molti, è
solo un pezzo di carta”.
Una valida risposta è stata data da
Pino Miniaci, animatore della serata, che ha raccontato un episodio di
attualità che lo ha coinvolto in prima persona. Un giudice lo ha
accusato di non avere il tesserino di giornalista, e lui
rispose in dibattimento: “scusi signor giudice veramente non lo sapevo che per fare
nomi e cognomi dei mafiosi serviva il tesserino, pensavo che servissero
piuttosto “du cugnuna accussì”.



