Giorgia Meloni ha saputo abilmente costruirsi una parvenza di equilibrio e di misura. Ma sotto di essa – molti lo sostengono – si delineano pulsioni di oltranzismo ed estremismo, riconducibili alla cultura autoritaria del Movimento Sociale Italiano degli anni 70/80 guidato da Giorgio Almirante.
Una tesi che suscita qualche preoccupazione, nella misura in cui può covare la volontà di capovolgere regole e princìpi fondanti della democrazia repubblicana. Ad esempio, mediante riforme come quelle del premierato e della separazione delle carriere fra Pm e giudici: dirette, la prima a rafforzare il potere esecutivo senza adeguati bilanciamenti, la seconda a rendere meno indipendente e incisiva l’azione della magistratura.
La separazione delle carriere sembra diventata un’ossessione per la nostra Premier, al punto da indurla a scambiare il Palazzo di vetro dell’ONU con il cortile di Palazzo Chigi.
All’Assemblea generale ONU del 25 settembre, infatti, Meloni ha svolto un duro intervento contro i giudici italiani “politicizzati” che interpretano le regole in modo ideologico e unidirezionale, calpestando il diritto invece di affermarlo e contrastando l’azione del governo. Un manifesto di pura politica nazionale fragorosamente lanciato in un consesso mondiale; finalizzato anche al referendum che dovrà confermare o bocciare la riforma costituzionale della separazione delle carriere tra Pm e Giudici.
L’idea di infilare questo tema in un contesto internazionale dedicato al drammatico problema della guerra e della pace nel mondo poteva venire in mente soltanto a uno statista con una smisurata fantasia creativa.
Fortunato il paese che ce l’ha…. O forse no?
Fonte: Il Fatto Quotidiano



