Assolti perchè il fatto non costituisce reato. Questo il verdetto del Tribunale di Palermo sul processo contro gli ex alti ufficiali dei carabinieri Mario Mori e Mauro Obinu. Il procedimento, scaturito dalla denuncia dell’allora colonnello del Ros Michele Riccio, verteva sul mancato blitz per la cattura di Bernardo Provenzano, all’epoca ancora latitante.
Era il 1995 e Riccio, sfruttando le dichiarazioni rese da Luigi Ilardo, boss nisseno cugino di Piddu Madonia e responsabile dell’organizzazione di Cosa nostra in Provincia di Caltanissetta, aveva intrapreso un percorso di collaborazione con i Ros dei carabinieri. Sfruttando la vicinanza a Provenzano, allora ai vertici della mafia siciliana, aveva indirizzato Riccio nelle campagne di Mezzojuso, in provincia di Palermo. Un luogo in cui, secondo l’accusa sarebbe stato presente lo stesso Provenzano. Alla richiesta di Riccio di intervenire i vertici de Ros, Mori e Obinu in primis, non avrebbero dato seguito.
Una ricostruzione questa, che aveva portato la Procura, rappresentata nel processo dal pm Nino Di Matteo, a chiedere la condanna a nove anni per Mori, e sei anni per Obinu. Secondo l’ipotesi accusatoria, confutata dal verdetto dei giudici della Quarta Sezione del Tribunale di Palermo, Mori e Obinu avrebbero negato il blitz per la cattura del padrino corleonese come conseguenza della trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa nostra. Ovvero favoreggiamento aggravato.
I giudici palermitani, contestualmente al verdetto assolutorio, hanno inviato in Procura le testimonianze di Michele Riccio e di Massimo Ciancimino, altro teste nel procedimento e figura contrastata nelle indagini sulla trattativa, per valutare possibili estremi di reato.



