Ma la famiglia conta più della legge

Violenza contro le donne

Quasi ogni giorno, aprendo il giornale, ci si trova di fronte all’omicidio di una donna. La situazione, anziché migliorare, sembra peggiorare. Già una legge del 2023 che rafforzava le misure contro la violenza sulle donne non ha portato a risultati apprezzabili.

Attualmente è all’esame del Parlamento un disegno di legge che introduce nel nostro codice penale il reato specifico di femminicidio e lo punisce con l’ergastolo. C’è da sperare che funzioni, ma visto il precedente non è detto. Chi arriva ad uccidere un essere umano è difficile che si lasci fermare dal rischio di ricevere una sanzione pur grave: l’irrazionalità, la follia e le spinte emotive prevalgono troppe volte sulla ragionevolezza e sui freni inibitori.

Questo vale a maggior ragione se si tratta di femminicidio, perché qui entrano in gioco vecchi e assurdi retaggi culturali sul ruolo e sulla natura della donna, che possono lasciare spazio alla degenerazione di passioni e pulsioni particolari nei suoi confronti.

Quando si parla di un uomo si dice: “È bravo”. Quando si parla di una donna si dice: “È bella”. Già questo è indice di una posizione radicalmente sbagliata, perché dimostra una precisa sottovalutazione della donna: come se questa, cioè, meritasse di essere considerata solo per le sue doti estetiche, e avesse per sua natura capacità intellettuali inferiori a quelle dell’uomo.

Inoltre, finché un uomo continuerà a dire con tono di supremazia: “Questa donna è mia” non ne usciremo mai. È vero che – come ha scritto ieri Fabrizia Giuliani – noi ci portiamo dietro vecchi schemi del Novecento, e anzi ben più vecchi. Ma il tempo passa. Il cambiamento di mentalità non può certo essere veloce come quello tecnologico, ma anch’esso deve avvenire. E dopo tanto tempo è assurdo che non si riesca a scostarsi dai vecchi schemi e dai relativi pregiudizi.

Il femminicidio trova le sue radici profonde in una mentalità frutto di carenze educative e culturali. Ma allora la colpa è anche nostra, perché spesso non diamo ai nostri figli, fin dall’inizio, le corrette coordinate per quello che deve essere un comportamento morale, etico e addirittura “naturale” verso ogni essere umano, uomo o donna che sia. Se tralasciamo questo insegnamento non possiamo poi dare alla società la colpa di ciò che avviene e, soprattutto, non possiamo pretendere che il potere politico risolva il problema a forza di leggi penali.

Se questo è vero, bisogna dunque partire da quando la mentalità si forma, e cioè dalla scuola e soprattutto dalla famiglia. Gli insegnanti devono approfittare di ogni occasione, facendo anche il confronto con i costumi di tempi passati, per instillare nei bambini il concetto di rispetto e di assoluta parità fra tutte le persone.

E, quanto alla famiglia, il bambino che vede il padre trattare la madre dall’alto, con degnazione o persino con disprezzo, e magari anche con violenza verbale o addirittura fisica, crescerà per forza con la testa storta. Mentre il bambino che si rende conto che la famiglia non è una monarchia, ma una diarchia in cui entrambi i genitori hanno lo stesso ruolo e si riservano reciprocamente lo stesso rispetto, troverà un modello di comportamento.

Crescerà naturalmente con una mentalità imperniata su un corretto rapporto fra padre e madre e quindi fra uomo e donna. E da grande tenderà ad agire di conseguenza in ogni occasione che la vita gli presenterà.

Fonte: La Stampa