L’opinione del ministro Valditara e il desiderio di una scuola confessionale

Scuola valditara

Giuseppe Valditara, ministro dell’Istruzione e del Merito, sostiene con forza il disegno di legge (ddl Valditara) che vieta ogni attività scolastica legata ai temi della sessualità nelle scuole dell’infanzia e nelle scuole primarie, e subordina al consenso scritto dei genitori la partecipazione degli allievi a tali attività nelle scuole secondarie.

Valditara è professore ordinario di Diritto romano nell’università. Conosce bene quindi la grande cultura dell’antica Roma, che ci ha lasciato, solo per fare pochi esempi nel campo umanistico, Cicerone con il suo De Republica, Tacito con gli Annali, Tito Livio con la monumentale storia di Roma.

E nel campo giuridico Giustiniano con la sua codificazione delle leggi romane che è alla base degli attuali sistemi giuridici europei. In sostanza, un patrimonio intellettuale che ancor oggi, dopo duemila anni, fa parte delle fondamenta culturali del nostro mondo.

Il ministro Valditara è dunque persona dotata di una forte cultura, che non dovrebbe andare disgiunta da un’adeguata sensibilità morale ed etica. Stupisce allora la sua posizione contraria alla possibilità di trattare nelle scuole argomenti riguardanti la sfera sessuale ed affettiva dei ragazzi, e quindi legati alla loro formazione morale. Posizione che sembra sostanzialmente oscurantista e dalla quale ci pare di dover dissentire.

Per intanto il divieto di toccare questi argomenti nelle scuole primarie contrasta con ciò che ci dicono gli psicologi: i bambini hanno precocemente pulsioni fisiche che non vanno ignorate, ma spiegate, e in modo “a misura di bambino”. Del tutto fuor di luogo, e pericoloso, sembra poi richiedere il consenso scritto dei genitori perché gli allievi delle scuole secondarie possano partecipare alle attività scolastiche in cui si trattano gli argomenti di cui stiamo parlando. Il periodo fra l’inizio della pubertà e i diciotto anni è proprio quello in cui i ragazzi si formano e acquisiscono la mentalità e la sensibilità che dovranno poi guidarli in tutte le occasioni che la vita presenterà loro. A diciotto anni “i giochi sono fatti” e quel che è resta.

Ma in un Paese, come il nostro, di forti diseguaglianze economico-sociali, in cui il lavoro non è assicurato, le retribuzioni sono molto spesso troppo basse, e le forme di assistenza sociale sono gravemente carenti, molte famiglie devono pensare ad arrivare faticosamente alla fine del mese. Per loro il problema dell’educazione sessuale ed affettiva dei figli non è certo quello principale.

Troppo spesso perciò queste famiglie non sono in grado (come pur sarebbe bene) di seguire direttamente i loro ragazzi nel processo evolutivo di formazione; e nemmeno di dare un giudizio ragionato e consapevole sull’opportunità che essi frequentino le attività scolastiche in cui un esperto tratti i temi della sessualità e dell’affettività.

Richiedere a tal fine il consenso dei genitori significa quindi correre il rischio di lasciare i ragazzi abbandonati a se stessi, togliendo loro il diritto di essere correttamente informati, su una questione importante, in un momento delicato e decisivo del loro sviluppo mentale e morale. E, per di più, di lasciare abbandonati proprio i ragazzi delle famiglie meno “forti” e quindi già svantaggiati.

Allora viene un dubbio: dietro l’opinione del ministro Valditara c’è forse il desiderio di una scuola ideologica e confessionale?

Fonte: La Stampa