Chi racconta la storia di Mimma Brancatisano che ieri se ne è andata, normalmente parte dal 22 luglio 1993, il giorno in cui viene rapita dalla ‘Ndrangheta a Bovalino in Calabria insieme a suo marito, Lollò Cartisano, che non fece più ritorno a casa.
A me piace partire invece da una frase apparentemente banalissima che mi è rimasta scolpita dentro un giorno che cercavo di aiutarla ai fornelli: “In tanti anni che cucino non ho mai assaggiato la pasta per verificare se era cotta – mi disse –. Me ne accorgo, ed è sempre al dente”. Mimma era questo scrupolo d’amore e competenza, esperienza e premura, per sé e per gli altri.
La durissima prova che la vita le aveva riservato non l’aveva piegata, aveva contribuito piuttosto ad affinare quello sguardo. Per la cottura della pasta e per le persone, per le pene altrui prima che per quelle proprie. E per questo Mimma è stata una testimonianza di coraggio indomito contro il male dell’ingiustizia e dell’illegalità. Una vita intera in cui ogni respiro è stato un atto d’amore alla vita stessa perché fosse pulita e luminosa e mai increspata da nuvole senza poesia.
Lo ha fatto per Deborah, Rocco e Giuseppe e per le loro famiglie, ma si è donata a tutte e tutti senza risparmio, con la generosità di una tavola-fisarmonica pronta ad espandersi per condividere sapori e profumi della sua terra di Calabria e della vita. Mimma, come Lollò – e forse prima di lui – è stata fotografa.
Ecco, è forse questa palestra continua che le ha insegnato a guardare l’anima dell’esistenza. E della pasta. Grazie.



