La vita nella Piazza del Mondo a Trieste 

Piazza del mondo panoramica

Il racconto di un’esperienza.

La Piazza del Mondo a Trieste (così viene chiamata la piazza della Libertà o la piazza della stazione) è un incontro di volti, storie, dolori, speranze che mettono in discussione chi sei, cosa vuoi, cosa cerchi, la tua stessa idea della vita e ciò in cui credi.

È un bel regalo quello che fanno a me, Barbara, Stefano, Verusca e Laura e gli amici della Misericordia di Barberino Tavarnelle, Sandra e Paolo, che ci hanno permesso di vivere questa bellissima esperienza. Insieme a loro anche Letizia che conosce la Piazza ormai da diversi anni per esserci venuta più volte con la stessa Misericordia.

La Piazza del Mondo è un insieme di pensieri e sensazioni che si mescolano, di odori diversi che si incrociano, in una rappresentazione della vita che qui si manifesta in tanti modi.

Qui si viene curati, si mangia insieme, si ricevono vestiti e coperte, gli ultimi migranti appena arrivati in città si incontrano con quelli che sono a Trieste da più tempo.

Si ritrovano i volontari non solo dell’associazione Linea d’Ombra, ma anche di altre organizzazioni; c’è chi prepara la cena, chi porta vestiti e coperte, chi prepara il tè. E ci sono tanti giovani che vengono in piazza per incontrare i “ragazzi” migranti, tra di loro si parlano e si ascoltano, condividono il linguaggio della loro età, il gioco, la musica, il ballo.

Ci si contamina in questa piazza, si ride e si piange, si pensa a ciò che si è lasciato e si rivolge lo sguardo al futuro.

Alla fine della sera, quando tutti se ne vanno, chi verso un dormitorio, chi a casa propria, chi verso un rifugio occasionale, provi un senso di dispiacere, perché stare lì insieme è bello, si avverte un clima di condivisione che ti cattura.

Ciò che più colpisce nella piazza sono i volti delle persone che incontri, volti che raccontano una storia in questo intreccio di vite tra persone italiane e persone straniere, dove non conta la nazionalità o il paese, ma il senso dell’essere qui, ciascuno per un bisogno diverso, ognuno in cerca di un significato più profondo sulla propria esistenza.

Il primo volto è quello di Lorena che è attenta soprattutto agli ultimi ragazzi che in giornata hanno raggiunto Trieste attraversando la rotta balcanica. È un volto che risente la pesantezza del venire qui ogni giorno e avvertire la responsabilità di non lasciare soli questi ragazzi, ma al tempo stesso è lo sguardo amorevole di chi accoglie con il sorriso che scalda il cuore e avverte che in lei ha trovato un rifugio.

Lorena guarda se hanno bisogno di essere curati, se hanno bisogno di nuove scarpe, nuovi vestiti, soprattutto giubbotti perché il freddo inizia a farsi sentire, di coperte e cappelli e di trovare un posto dove dormire. Lorena è aiutata da Asad e Noman, due giovani migranti che da tempo con lei gestiscono gli ultimi arrivati nella piazza, gli forniscono le prime informazioni, gli accompagnano dopo cena in un possibile dormitorio.

Insieme a lei, a curare i piedi e a prendersi a cuore la salute dei ragazzi, troviamo Anita, 80 anni, anche lei tutti i giorni in piazza. Anita cura con amore i migranti, si fa tradurre da chi è in piazza le richieste di questi giovani ragazzi, per capire cosa non va per poterne alleviare le sofferenze.

C’è poi Gian Andrea, marito di Lorena, quasi novantenne, colui che cura le relazioni e parla con tutti quelli che si trovano nella piazza, senza mai sedersi, sempre con il sorriso sulle labbra, dedicando tanto tempo ai ragazzi, con cui sa dialogare. Gian Andrea è il filosofo che si fa concretezza, che capisce il valore enorme che è dentro queste persone che hanno avuto il coraggio di affrontare un viaggio così estenuante; intuisce la ricchezza che loro potrebbero essere per il nostro paese e per l’Europa e che comunque diventeranno una parte importante del nostro futuro.

Lorena, Gian Andrea, Anita sono la parte del cuore della piazza, il sentimento più bello, guidati dalla generosità.

Ma non si può gestire la piazza del mondo senza una vera e propria organizzazione che permette ogni giorno di prendersi cura di decine e decine di persone.

Un altro volto che quasi ogni sera abita la piazza è Veronica, una giovane volontaria che pensa ai tanti e diversi momenti che si alternano in questo spazio…quando è il momento di distribuire il cibo, quando i vestiti e le coperte, quando è il momento di riunire gli ultimi arrivi per le informazioni legali.

Con lei, l’altro volto dell’associazione Linea d’Ombra, è Marianna, che cura i rapporti con tutte le altre associazioni, le istituzioni, le parrocchie e che cucina quando in piazza non c’è nessuno a preparare la cena.

Marianna sa tenere insieme il cuore e la mente, il sentimento e la realtà, attenta a tutto ciò che accade nella piazza, in ciò che funziona e ciò che invece va migliorato. Marianna osserva tutto, i comportamenti delle persone, dei volontari e dei giovani migranti, di chi è arrivato da poco e chi invece in piazza viene da molto tempo, cercando di capire come mai…

La piazza è uno spazio delicato, che va tutelato, dove nessuno si deve approfittare dell’attenzione e della cura che qui vengono concessi gratuitamente.

Un altro volto che resta impresso stando nella piazza, è quello di Tito, un insegnante marchigiano in pensione che ha deciso di venire a vivere qui per stare accanto ai migranti della piazza del mondo e che al mattino insegna italiano agli stranieri. Tito vive in un appartamento in centro ma ormai da tempo non vive più solo, ma dà ospitalità a uno di questi ragazzi.

Abbiamo anche assistito a una sua lezione in una stanza della parrocchia di via Sant’Anastasio. I giovani stranieri si ritrovano in piccoli gruppi per imparare la nostra lingua e lui con pazienza e calma ha attenzione per tutti.

Tito ha insegnato per molti anni italiano in un carcere minorile e oggi ha deciso di dedicarsi ai giovani della piazza. Nel carcere ha dovuto spesso insegnare con la rigidità delle regole imposte in un carcere, ora invece insegna con l’amore di chi vede nell’altro un uomo o una donna che cercano la propria libertà. Insegna al di là delle regole, con l’amore di chi vede nell’altro una persona che cerca di costruirsi il proprio futuro.

Parla poco Tito, da valore alle parole, ti guarda con i suoi occhi che emanano serenità e ti sembra di essere accanto a un uomo felice, e con i piedi per terra, un uomo che ha trovato la sua strada…

Come Giuliano, un altro volontario che non fa parte di un ente o un’associazione, ma che è felice di stare in questa piazza, parla con i ragazzi, porta del cibo, qui si sente a casa.

Anche queste cose accadono nella piazza del mondo, un luogo di condivisione di sogni e speranze, mentre intorno una città si muove quasi indifferente e disinteressata.

Ma di vita, quella vera, di amore e di condivisione, quella piazza è piena anche se tanti neanche se ne accorgono.

Si fanno incontri belli in piazza come quello con Tashrif, un giovane afgano, arrivato a Gorizia alla fine del 2016. Quando è arrivato era analfabeta, costretto nel suo paese a lavorare dall’età di 8 anni.

Qui ha imparato a leggere e a scrivere, ha costruito giorno dopo giorno un progetto nella sua mente. Voleva che i bambini e le bambine del suo paese avessero la possibilità di frequentare le scuole, così che la povertà non li costringesse a subire il pesante carico del lavoro minorile. Il suo sogno era organizzare, nei paesi sperduti, delle sedi attrezzate dove i piccoli potessero, oltre allo studio, trovare conforto nel cibo e nel gioco, uno spazio famiglia gioioso. Oggi, grazie al supporto di un’associazione di volontariato di Padova, sono circa 700 i bambini e le bambine che hanno potuto studiare e il suo progetto va ancora avanti.

E poi ci sono i giovani che passano di qui per stare con i migranti.

Come i volontari dell’associazione Menti Libere che nei prossimi giorni inizieranno a percorrer la rotta balcanica al contrario, cercando di raccogliere le sensazioni e i pensieri dei migranti che incontreranno lungo il loro cammino.

Venerdì sera erano  qui per raccogliere, in un grande e lungo manifesto, le frasi, i disegni, i pensieri dei migranti presenti in piazza e che numerosissimi lasciano impresse sulla carta le loro impressioni. E mentre scrivono e disegnano ti spiegano cosa stanno facendo, felici e divertiti di esprimersi e un pò anche di giocare.

Sabato sera incontriamo un gruppo di studentesse americane che studiano a Bologna e che sono venuti nella piazza con le loro insegnanti per capire cosa accade qui. Poi ci sono alcuni giovani triestini, legati a una parrocchia, a un circolo, a un’associazione o persone senza nessun legame che vengono qui solo per il loro interesse personale.

Si respira un clima di festa, di leggerezza, ed è bello ascoltare i loro racconti, stringere mani, dare abbracci, ricevere sorrisi…

Intanto gli arrivi dalla rotta balcanica non cessano: un pomeriggio sono arrivati circa 15 ragazzi e il giorno dopo altri 10.

Nessuno parla della rotta balcanica, di queste persone che nel silenzio di una città e di una nazione arrivano da noi, troppo spesso impreparati per accoglierli, o il più delle volte disinteressati del loro arrivo.

Sono presenti anche alcuni mediatori culturali che danno informazioni soprattutto ai nuovi arrivati.

C’è spazio per tutti nella Piazza del mondo, per i migranti, per i volontari delle varie associazioni, per chi viene ad offrire del cibo, per chi cura, per chi consegna giubbotti, scarpe e coperte, per chi ascolta musica e balla. Volti che si mescolano, occhi che si incontrano, mani che si stringono, o versano del tè caldo, o offrono un piatto, consegnano una frutta o un dolce.

C’è contaminazione tra le persone tra chi chiede e chi offre, tra chi sta in silenzio e chi non smette mai di parlare, tra chi, ancora spaesato, per la prima volta ha raggiunto la piazza e tra chi, ormai frequentatore assiduo, conosce ogni movimento, ogni volontario, ogni gesto che in questo spazio si ripete ogni giorno.

C’è chi si è innamorato di questa piazza e si perde nel clima che vi si respira e chi mantiene ben saldi i piedi per terra, consapevole anche dei rischi, delle tentazioni, delle cose che ancora non funzionano in questo luogo.

I volti sono la più bella rappresentazione della Piazza del Mondo.

Alle 22 i ragazzi iniziano ad andarsene per strade diverse, chi a un dormitorio, chi in una sala di una parrocchia, chi al Porto vecchio, chi per strada.

La piazza si svuota e si riempie di gabbiani, pronti a catturare le briciole cadute dai piatti di questi giovani ragazzi. Saranno loro gli ospiti notturni di giardini e aiuole.

Si mettono a posto le medicine, si portano via le poche coperte e i pochi giubbotti avanzati. Serviranno l’indomani. Anche stasera nessuno è restato a stomaco vuoto o senza un riparo o un piumino che lo scalderà. E anche senza un pò di dolcezza…

Questo è il compito della piazza, non una soluzione, ma un momento di sollievo e di cura prima di tornare a fare i conti con la realtà di un documento che manca, di un possibile lavoro, della conoscenza di una lingua che lo stato che li ospita ha deciso di non insegnare più, di qualcuno che voglia sfruttarti a seguito della tua debolezza e ignoranza..

Ma nella piazza del mondo si sperimenta la bellezza della cura, di non sentirsi del tutto soli per trovare la forza di non mollare e di provare lo stesso a sognare e sperare.

Sogno, speranza, desiderio di provare, di non cedere ai tanti lati negativi di una permanenza troppo spesso negata, animano i volti di questi giovani uomini e giovani donne.

Non tutti troveranno un alloggio, un dormitorio, una stanza in una parrocchia o un luogo caldo, qualcuno dovrà andare al Porto vecchio, un luogo umido, insalubre, dove non si ha un riparo sicuro, ma almeno non si dormirà da soli.

Ed è proprio al Porto Vecchio che inizia il nostro ultimo giorno nella Piazza del Mondo.

Da quando l’amministrazione comunale di Trieste ha deciso, lo scorso anno, di chiudere i silos situati poco dopo la stazione ferroviaria, i migranti che non hanno la possibilità di vivere in un centro, o stare la sera in un dormitorio, si sono spostati nella zona adiacente del porto vecchio, l’altra parte della Piazza del Mondo.

Il porto vecchio si trova a poche centinaia di metri dalla Piazza del Mondo e ci accompagna alla visita Idris, un ragazzo afgano che lì ha vissuto per alcuni mesi.

La zona del porto vecchio è un insieme di vecchi edifici abbandonati, all’interno dei quali non ci sono acqua, corrente, non esistono bagni. Ogni edificio è un insieme di enormi stanzoni trasformati in cucine e camerate.

Le cucine altro non sono che luoghi dove si accende un fuoco, sul quale si mette una pentola sopra per cucinare qualcosa. Non ci sono mobili, non ci sono tavoli e sedie e l’acqua per preparare il cibo deve essere presa dei fontanelli pubblici distanti centinaia di metri.

Le camere altro non sono che coperte stese in terra, con alcuni materassini per i più fortunati, con un piumino per coprirsi e con accanto le scarpe e i pochi vestiti che si possiedono.

In alcune delle stanze la pipì viene coperta con della terra per attutire gli odori che si respirano.

I pochi panni lavati, o gli asciugamani sono stesi sulle ringhiere delle terrazze.

I ragazzi ci accolgono con il sorriso, felici di parlare con noi, senza nessuna rimostranza o accuse verso nessuno. Si avverte in loro la speranza di poter migliorare la loro condizione di vita e ringraziano per aver ricevuto la nostra visita. Ci stringono le mani, accolgono le nostre pacche sulle spalle mentre qualcuno cucina il poco che hanno.

Lungo il porto vecchio sono in corso dei lavori di ristrutturazione che presto riguarderanno anche alcuni degli edifici oggi occupati da questi ragazzi, che saranno costretti a lasciare questi stabili non si sa per dove.

Usciamo con gli occhi bassi, attoniti per il degrado che abbiamo visto, gli odori che abbiamo respirato che sono diventati parte della vita di questi giovani uomini.

Sono quasi 200 le persone che vivono al porto vecchio, tanti, troppi, nel degrado più assoluto…

Guardiamo il mare come per cercare un pò di sollievo da tanta desolazione e i miei occhi incrociano una grande barca a vela con tre alberi ormeggiata al largo.

Mi viene da pensare alle enormi disuguaglianze e ingiustizie che viviamo in questa stagione della storia, talmente enormi che mi sento quasi impotente e uno sconfitto.

Avverto il fallimento delle nostre generazioni, di chi ha ricevuto tanto e fatto poco perché le nostre comunità non cadessero così in basso.

La piazza, il porto vecchio, ma anche il dormitorio e la parrocchia di Sant’Anastasio che ci ha ospitato e dove abbiamo cucinato posta a poche centinaia di metri dalla piazza, e il centro diurno, lo spazio 21, il magazzino di Linea d’Ombra ospitato all’interno della sede di Rifondazione Comunista. Tanti spazi e luoghi che rendono meno duro l’arrivo e la permanenza dei giovani migranti.

Così, mentre stiamo per ripartire verso casa, rivedo i loro volti, penso anche ai sorrisi, agli abbracci, alle parole di speranza di chi ci ha raccontato un suo progetto, il sogno di un lavoro, l’impegno nel cercare di conoscere la nostra lingua, il desiderio di costruirsi un futuro.

La vita riemerge con tutta la sua forza, la forza di chi ha affrontato un viaggio lungo mesi e mesi, e non si ferma di fronte al porto vecchio, alla nostra indifferenza, alle “trappole ” dei politici di turno, sindaci, governatori, fino ad arrivare al governo, mettono sul loro cammino.

Gli esodi alla lunga non finiscono con il mare che ti sommerge e ti annienta, ma con le onde che si ritirano e ti lasciano passare…

E tornando a casa spero che quanto visto, toccato, vissuto in questi tre giorni, i sentimenti contrastanti vissuti, si tramutino in me in un maggiore impegno per rendere migliori e più umane le nostre comunità.