La vita è bella, dolce, agra, strana, è uno schifo, è un sogno, la vita è una sola, è lo strepito di un pazzo, è un batter di ciglia, la vita è un gioco, un combattimento, un incubo, un’altalena, la vita è un dono, una fregatura, un prestito. La vita è ciò che accade mentre ci occupiamo d’altro.
In molti modi è stata definita questa nostra avventura terrestre, ma quello a cui sono più affezionato è questo: la vita è una danza.
“Danzare la vita “ fu infatti il titolo di un bel convegno che noi giovani dell’Azione Cattolica di Milano organizzammo nel novembre 1985. E confesso che i comandi della danza, così come furono indicati in quell’occasione da un gran prete, don Luigi Serenthà, scomparso prematuramente l’anno successivo, sono le piste che ho tentato di seguire da allora in poi.
Primo passo: sciogliere le mani e uscire da sé
“Danzare la vita” vuol dire innanzitutto sciogliere la mani, deporre, nell’era del pavone, l’io tiranno e accentratore e andare verso gli altri, uscire dai nostri ambienti protetti per inoltrarsi in mare aperto. Si tratta di riscoprire il legame, quel “fra noi” che ci rende persone. Questo è l’incipit, l’inizio, il tessuto con cui è fatta la vita.
È quel che ci si scambia nel lavoro condiviso, nei gesti semplici di amicizia, nelle conversazioni dal contenuto forse irrisorio, ma in cui comunque ci si mette faccia a faccia. È quel che sussiste e riemerge nelle situazioni estreme: quando qualcuno sta per morire (di Aids, di un cancro, di vecchiaia….), quando qualcuno, per l’età o per un incidente, è ridotto all’ebetismo, o si ritrova attanagliato dall’angoscia, o quando una madre guarda per la prima volta il bimbo che è appena uscito da lei. Senza questo primordiale “fra noi”, senza la tenerezza gli uni per gli altri, che dà a ciascuno viso, voce, nome, noi non siamo.
Secondo passo: aprirsi allo stupore e alla realtà
A partire da questo principio, c’è da seguire il secondo comando della danza: muovere i passi verso nuove dimensioni, vivere l’attenzione e l’attesa. Occorre perciò stare svegli, tenere occhi e orecchi bene aperti, sempre all’erta. Che gli uomini in ciò siano inadempienti, sta costando infinitamente caro. L’Occidente muore per questo: perché è un mondo borghese, iper protetto, chiuso dentro il già visto, dove tutto è dato per scontato.
Invece non c’è volto uguale ad un altro, non c’è storia che sia la copia di un’altra già narrata. Ci vuole ammirazione di fronte ad ogni nome, stupore di fronte ad ogni alba, rabbia di fronte ad ogni ingiustizia, angoscia di fronte ad ogni morte. Occorre diventare la sentinella che osserva e interroga, grida e si stupisce, perché sa che la realtà vive di un Mistero infinitamente più grande che la rigenera continuamente.
Terzo passo: ascoltare la musica del Vangelo
Il Mistero non è stato lontano e muto. Per questo bisogna aiutarsi ad ascoltare la musica del Vangelo che parla di un Dio di amore che non è in cielo ma in ciò che, nell’uomo, è rifiuto della menzogna, dell’ipocrisia, della violenza, è espressione della tenerezza, del nutrimento, della cura.
Dio è nel luogo della massima potenza dell’uomo, cioè nell’esperienza dell’amore. Non arriva dall’esterno ma si manifesta dall’interno, là dove si vive e si gode fra noi. Più approfondiamo questo Mistero, più seguiamo questa musica – ecco il terzo comando – più siamo noi stessi e costruiamo pace, riconciliazione, armonia – la genesi ritrovata!
Danzare la vita oggi: la sfida dei giovani
All’inizio del nuovo millennio questi comandi della danza restano per me più vivi che mai e, da ex, mi domando se non siano da indicare con forza ai giovani d’oggi, al milione di Tor Vergata e anche a tutti coloro che non erano là.
L’atletico boy, la sensibile girl dell’Occidente ipervitaminizzato non esce dal bozzolo. Più è bombardato da messaggi commerciali che gli parlano di felicità a buon mercato, più frena e blocca l’ormone della crescita. Preso dal sospetto che più avanti ci siano solo dolore e fregatura, si rinchiude nella sua eterna adolescenza. Riduce perciò al minimo i contatti pericolosi, si accontenta di un’esistenza normale, molto normale: due amici al bar con cui lamentarsi (sottovoce), una casa che è una tana, un lavoretto per tirare a campare, qualche amorino che arriva e va, il telefonino per i messaggini.
Anche nel caso particolare dei trentenni masterizzati che puntano alla carriera, le cose non migliorano. Perfetti nella loro ovvietà, si agitano giorno e notte, raddoppiano gli sforzi ma non si domandano mai il perchè. Sono la conferma vivente che ogni fanatismo, anche quello da lavoro, consiste nel raddoppiare gli sforzi quando si è dimenticato lo scopo.
Danzala la vita tua
Possibile che il bruco non diventi mai farfalla? Possibile. Succede quando l’adolescenza si incolla alla senilità, saltando a piè pari il tempo del volo, della pienezza e della responsabilità, e scivolando sulle pianelle del nonno, a testa bassa. Ma che tristezza diventar subito un vecchietto! Lascia piuttosto uscire le tante energie rinchiuse nel sacco nero della paura.
Danzala, la vita tua — al ritmo del tempo che va. Vivila la tua allegria, cogli tutte le mele e vai.
Fonte: Azione Cattolica Ambrosiana
Danzare la vita. Convegno “Per un cristianesimo della gioia” | 15 novembre



