La relazione annuale svoltasi nella mattinata di ieri alla sala Koch del Senato dal presidente dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni Giacomo Lasorella di per sé non fa una piega.
O, meglio, una piega la fa nel passaggio sul copyright, che evoca una difficoltà a incidere nell’iniquità delle relazioni tra le piattaforme e il mondo editoriale, e -nel contempo- una volontà di potenza nei riguardi della pirateria online.
Comunque, tanto l’illustrazione più succinta quanto le 197 pagine del testo completo hanno contenuti accurati e in buona parte condivisibili.
Tuttavia, ciò che colpiva nell’esposizione del grand commis Lasorella era il tono scelto: la ritmica rassicurante della commedia e non la fonetica inquieta del dramma. E già, perché i sistemi mediali e post-mediali sono immersi nella tragedia.
Giornaliste e giornalisti, operatrici e operatori dell’informazione sono nel mirino: vittime di censure, intimidazioni, querele temerarie, oltraggi e persino di attacchi contro i corpi. Fino agli omicidi. E dire che nell’aria serena dell’ovest vi è solo un assaggio di ciò che sta accadendo nel mappamondo, in particolare a Gaza, dove sono morti oltre duecento persone con tanto di giubbetto con la scritta press, forse ben di più.
Gaza è il buco nero della Storia, ma non è l’unico. Se osserviamo come siano compresse le effettive libertà di espressione, pure – eccome – nell’ex culla del quarto e del quinto potere in salsa statunitense con Trump, oltre ai regimi totalitari noti, si evince come la funzione di tutela del diritto primario della società a sapere sia nel ciclone. Ovviamente, l’Agcom sta nei confini italiani, ma il senso della sua attività si inquadra in un contesto molo pericoloso. La caduta progressiva della carta stampata non surrogata da alcun boom delle testate digitali è un sintomo non di una ri-mediazione, ovvero del transito verso altre modalità comunicative, bensì di una vasta crisi culturale. Al di fuori del campo di spettanza dell’Autorità si stagliano i fantasmi terribili del ridimensionamento degli istituti formativi pubblici nonché dei luoghi della marxiana riproduzione.
La vecchia televisione generalista scende in quanto primo approdo cognitivo dal 67,4% del 2019 al 46,5% del 2025. Ma non è detto che tutto ciò abbia un sapore progressivo, se è vero che hanno fortuna le fonti trasmissive a pagamento e i nuovi prepotenti attori: da Alphabet/Google, a Meta (che deve pagare un po’ di milioni al gruppo Gedi, a mo’ di esempio), ad Amazon e Netflix; accanto ma con maggior forza dei classici Rai, Comcast S ky, Fininvest, Discovery e Cairo Communication. Anche le entrate pubblicitarie seguono (o anticipano) la tendenza. Andiamo spediti verso due società dell’informazione? Una per gli abbienti e una per chi non sa e non ha?
Le telecomunicazioni paiono procedere: a fine 2024 il 70,7% dei nuclei abitativi sarebbe raggiunto dalla banda larga, pur con ampie differenze territoriali. E poi le Poste che, non senza polemiche sulle attività finanziarie, vanno.
Finalmente, a pag. 13 (su 22) arriva il capitolo dei capitoli, vale a dire l’adozione dell’European Media Freedom Act (Emfa), che ridefinisce gli assetti dei settori interessati con una sorta di rivoluzione copernicana. Alcuni articoli sono in vigore e il prossimo 8 agosto piomberà sulla scena l’articolo 5 sul funzionamento indipendente dei fornitori di media di servizio pubblico. Insomma, l’odierna legge del 2015 sulla Rai perderà legittimità.
Giacomo Lasorella si è riferito opportunamente ad altre normative in corso d’opera, ivi compreso il targeting della pubblicità politica. Siamo al cospetto di passaggi non secondari verso una cultura della par condicio nell’età della profilazione e degli algoritmi. Le tipologie evocate sono svariate e sembra significativo che l’Agcom abbia un ruolo importante di coordinamento nell’ambito dell’età digitale. La relazione si chiude con un messaggio al governo: si stabilisca un contributo unico per l’Autorità, di natura tributaria, per assicurare indipendenza e autonomia.
Fonte: il manifesto



