La magistratura fa pulizia delle sue mele bacate

Giustizia

Nell’inchiesta di Palermo sull’omicidio di Piersanti Mattarella, avvenuto 45 anni fa, l’ex prefetto Filippo Piritore (allora funzionario della Squadra mobile) è indagato per depistaggio.

L’accusa è di aver fatto scomparire un guanto rimasto nell’autovettura dei killer e che avrebbe potuto essere utile per risalire agli autori dell’omicidio. Il caso del guanto sparito ha riacceso l’attenzione sui molti casi analoghi che si sono verificati in momenti significativi, talora nevralgici, della storia criminale di Cosa nostra. Alcuni articoli scritti da Mauro De Mauro e riposti in un cassetto della sua scrivania furono trafugati dopo la sua morte. Dopo la strage di via Carini, in cui fu ucciso il generale-prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa, furono sottratti documenti custoditi nella cassaforte della Prefettura.

Dopo l’uccisione di Giovanni Falcone si constatò la manomissione di parte della sua agenda elettronica. L’incredibile sparizione della “agenda rossa” di Paolo Borsellino, recuperata dalla sua auto appena devastata dall’esplosivo mafioso, ha fatto di tale agenda un simbolo tra i più importanti della lotta antimafia, tenacemente condotta da un movimento che fa capo al fratello, Salvatore, del magistrato ucciso. Completa l’elenco la mancata sorveglianza del covo di Riina, che consentì ai mafiosi di far sparire tutto il materiale che il boss vi custodiva.

In questo quadro il fatto addebitato a Piritore, per quanto gravissimo, purtroppo non deve stupire oltremodo.

Può essere utile, ponendosi su un piano generale, chiedersi “a chi giova?”. La burocrazia costituisce l’ossatura dell’apparato amministrativo e, in quanto tale, è inevitabilmente soggetta al potere esecutivo e alle sue strutture di vertice. Il guaio è che questo legame, di per sé fisiologico, diventa talvolta patologico: ciò avviene quando il potere esecutivo se ne avvale per esercitare sulla burocrazia pressioni indebite. In altre parole, è ben possibile che i depistaggi rientrino in qualche disegno politico o corrispondano agli interessi politici di qualche fazione.

Per fortuna gli eventuali legami oscuri fra amministrazione e politica non sussistono invece tra il potere politico e la nostra magistratura. Questa è sempre stata, e continua ad essere, fondamentalmente sana, nel senso che in linea di principio non è permeabile a pressioni di ordine politico e non risulta interessata da fenomeni di corruzione.

E se ciò eccezionalmente accade, è la stessa magistratura che – appena si prospetta al suo interno la possibile esistenza di una mela bacata – sa reagire immediatamente e con la dovuta fermezza: come dimostra il caso dell’ex procuratore di Pavia Mario Venditti, indagato per corruzione in atti giudiziari dai colleghi di Brescia, competenti per territorio, nel caso di Andrea Sempio.

E in ogni caso Venditti, qualora avesse effettivamente commesso il reato addebitatogli (anche per lui, come per tutti, vale la presunzione di non colpevolezza) è soltanto un magistrato su novemila, quanti sono i magistrati in Italia. Una mela bacata fra molte sane può esistere in qualsiasi professione e non può certo riflettersi sull’intera categoria.

Ma ritorniamo al tema dei rapporti fra politica e magistratura. Abbiamo detto che la magistratura è fondamentalmente impermeabile alle pressioni politiche. Dobbiamo però aggiungere che ciò vale oggi, ma potrebbe essere ribaltato domani, se diventasse legge la separazione delle carriere fra Pm e giudici.

Per il semplice motivo (che soltanto chi non è in buona fede può negare) che ovunque esista tale separazione il Pm deve ubbidire alle direttive del potere esecutivo, che può indicare ai Pm i soggetti da indagare e quelli da risparmiare. Sarebbe così calpestato il principio costituzionale dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.

Un principio fondante della nostra democrazia, che farebbe un rilevante passo indietro sul piano della tutela dei diritti.

Fonte: La Stampa