Il girato dei due giornalisti francesi è una delle cause dell’accelerazione della strage di via d’Amelio.
Tra le “concause” dell’accelerazione dell’attentato al giudice Paolo Borsellino c’era anche un’intervista che il magistrato aveva rilasciato a due giornalisti francesi Fabrizio Calvi e Jean Pierre Moscardo, il 21 maggio del ’92, ad appena 48 ore da Capaci. Borsellino parlò dei rapporti tra Vittorio Mangano, Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri, del fatto che il primo fra questi era considerato la “testa di ponte” dei finanziamenti di Cosa nostra al nord.
Non si tratta di mere speculazioni, ma è tutto scritto nero su bianco nella sentenza d’appello del marzo 2002 del processo Borsellino bis: “Cosa Nostra era in condizione di sapere che Paolo Borsellino aveva rilasciato una clamorosa intervista televisiva a dei giornalisti stranieri, nella quale faceva clamorose rivelazioni su possibili rapporti di Vittorio Mangano con Dell’Utri e Berlusconi, rapporti che avrebbero potuto nuocere fortemente sul piano dell’immagine, sul piano giudiziario e sul piano politico a quelle forze imprenditoriali e politiche. Riina aveva tutte le ragioni di essere preoccupato per quell’intervento che poteva rovesciare i suoi progetti di lungo periodo, ai quali stava lavorando dal momento in cui aveva chiesto a Mangano di mettersi da parte perché intendeva gestire personalmente i rapporti con il gruppo milanese. È questo il primo argomento che spiega la fretta, l’urgenza e l’apparente intempestività della strage”.
Sarebbe senz’altro un punto interessante da analizzare se la Commissione antimafia guidata da Chiara Colosimo fosse interessata veramente a chiarire i punti oscuri che ci sono dietro la strage di via d’Amelio.
Il motivo per cui non lo fa, e non lo farà mai, è presto detto: la maggioranza in commissione è formata anche dai parlamentari di Forza Italia, un partito fondato da un piduista, pregiudicato e pagatore della mafia (Berlusconi) e da Marcello Dell’Utri, condannato con sentenza definitiva per concorso esterno (pena scontata).
È preferibile concentrarsi quindi sul tema “mafia e appalti”, o meglio, su come archiviare definitivamente le indagini sui mandanti esterni delle stragi, anche a costo di estromettere dalla commissione l’ex procuratore generale di Palermo, oggi senatore, Roberto Scarpinato e il collega Federico Cafiero de Raho.
Ricordiamo che le indagini in tal senso sono ancora in corso presso la Procura di Firenze, che indagava Berlusconi fino alla sua morte e indaga ancora su Marcello Dell’Utri per concorso nelle stragi del 1993 a Firenze e Milano e per gli attentati a Roma.
Anche la Procura di Caltanissetta in passato ha indagato Berlusconi e Dell’Utri per le stragi del 1992 come presunti mandanti esterni. La presunzione di innocenza così come i condizionali sono d’obbligo dal momento che si tratta di accuse mai dimostrate e più volte archiviate.
Tuttavia le parole del giudice rimangono ancora oggi di grande interesse.
Non per nulla nella sentenza del 2002 la Corte d’assise di appello di Caltanissetta, nel processo per la strage di via d’Amelio, include l’intervista tra le cause che spinsero Totò Riina a uccidere Borsellino poco dopo Falcone.
Secondo i giudici della corte nissena presieduta da Francesco Caruso, si legge nelle motivazioni della sentenza, Borsellino “pur mantenendosi cauto e prudente per non rivelare notizie coperte da segreto o riservate, consultando alcuni appunti, forniva indicazioni sulla conoscenza di Mangano con il Dell’Utri e sulla possibilità che il Mangano avesse operato come testa di ponte della mafia in quel medesimo ambiente”.
Pertanto non si può escludere, prosegue la sentenza della corte d’assise d’appello, “che i contenuti dell’intervista siano circolati tra i diversi interessati, che qualcuno ne abbia informato Riina e che questi ne abbia tratto autonomamente le dovute conseguenze, visto che questa Corte ritiene… che il Riina possa aver tenuto presente, per decidere la strage, gli interessi di persone che intendeva ‘garantire per ora e per il futuro”. Cioè Berlusconi e Dell’Utri. Per questo l’ultima intervista di Borsellino è “il primo argomento che spiega la fretta, l’urgenza e l’apparente intempestività della strage. (Bisognava) agire prima che in base agli enunciati e ai propositi impliciti di quell’intervista potesse prodursi un qualche irreversibile intervento di tipo giudiziario”.
Il giudice fece i nomi di coloro che rappresentavano il nascente partito Forza Italia nei confronti del quale Cosa nostra nutrì delle aspettative politiche. E Paolo Borsellino rappresentava un ostacolo insormontabile.
Storia di un’intervista scomoda
Il 21 maggio del 1992 Paolo Borsellino venne intervistato ma il girato non andò in onda: venne acquistato da Canal Plus, all’epoca in affari con la Fininvest per i diritti delle partite di calcio, e rimase in archivio.
La prima volta che quell’intervista venne mostrata al grande pubblico fu su Rainews24 in uno speciale del settembre 2000. In quegli anni c’era l’attuale conduttore di Report Sigfrido Ranucci nella redazione diretta da Roberto Morrione.
Il direttore di Rainews24 decide di preparare lo speciale di un’ora sulle stragi di Capaci e via d’Amelio con la messa in onda dell’ultima intervista al giudice Borsellino.
Due anni dopo, nel marzo 1994, a pochi giorni dalle elezioni, Fabrizio Calvi chiamò l’Espresso e offrì uno stralcio dell’intervista inviandone anche una copia su Vhs. L’articolo venne pubblicato a firma di Chiara Beria di Argentine. Il video, invece, venne inutilmente offerto ai vari tg della Rai.
Beria di Argentine regalò il video alla famiglia del giudice scomparso e per sei lunghi anni il vhs con quell’intervista cade nel dimenticatoio.
A ritrovarlo fu casualmente Ranucci nella primavera del 2000 nell’archivio del giudice: fu Fiammetta Borsellino a consegnarglielo.
I contenuti all’epoca erano esplosivi poiché Dell’Utri era sotto inchiesta a Palermo per i suoi presunti rapporti con la mafia.
Ranucci non ci pensò due volte e portò il materiale al magistrato Luca Tescaroli, titolare delle indagini sui mandanti esterni delle stragi.
Dopo un lunghissimo e complicato percorso, e molti rifiuti, il 19 settembre del 2000 l’intervista inedita di Borsellino venne trasmessa da Rainews24, su satellite e alle 23.05.
Solo il 16 marzo del 2001 approderà per la prima volta su un canale nazionale con Michele Santoro.
Su quel video hanno indagato di volta in volta le procure di Roma, Palermo, Caltanissetta, Catania, Milano, si sono tutte concluse con un nulla di fatto escludendo manipolazioni, falsi, violazioni di segreto istruttorio.
Oggi il video si trova negli archivi Rai ma un vincolo lo rende di fatto inutilizzabile.
Chi pagò per censurare l’intervista a Borsellino?
Fine 2021, Silvio Berlusconi era in corsa per il Quirinale.
Una notizia pubblicata su ‘L’Espresso‘ a firma di Paolo Biondani e Leo Sisti riaccende i fari sull’intervista a Borsellino rivelando che ci sarebbe stato chi era disposto a tutto, anche ad offrire un milione di dollari per comprare cinquanta ore di filmati, ovvero l’intero lavoro per il video-documentario su Silvio Berlusconi che i giornalisti francesi Fabrizio Calvi e Jean Pierre Moscardo stavano preparando per conto di Canal Plus.
I giornalisti de l’Espresso in particolare avevano raccontato che Fabrizio Calvi poco prima di morire (ottobre 2021) “ha parlato di due fatti, collegati, che offrono la prima possibile spiegazione dello stop (o dietrofront) della tv francese sull’intervista al magistrato antimafia”.
Il primo elemento offerto da Calvi sarebbe una confidenza che Moscardo (anche lui morto nel 2010) gli fece, seppur con qualche imbarazzo. “Il regista gli ha rivelato che era stato contattato da un emissario, incaricato di offrirgli ‘un milione di dollari’ per avere i filmati completi, cioè tutte le 50 ore di girato. Una proposta fatta a nome di uno dei manager più vicini a Berlusconi”.
Secondo quanto avrebbe detto Calvi, Moscardo gli disse di aver rifiutato la proposta, ma sul punto aveva l’impressione che non avesse detto tutto.
Il secondo elemento riportato da L’Espresso è la rivelazione di Calvi il quale prima di morire avrebbe dichiarato: “So chi è stato il traditore”. E nelle ultime interlocuzioni avrebbe fatto anche il nome, “un manager francese che ha lavorato per Canal Plus, ma è stato anche consulente delle tv di Berlusconi”. E sarebbe stato lui ad offrire i soldi per il girato a Moscardo.
Un fatto inquietante tenuto conto che all’epoca, il biennio 1992-1994, il lavoro per Canal Plus era segretissimo.
Alla fine dell’intervista, Borsellino consegnò un centinaio di fogli stampati precedentemente in Procura e disse al giornalista: “Qualcuno di questi fogli di computer riguardano questa faccenda di Dell’Utri-Berlusconi e non so sino a che punto sono ostensibili… io glieli do, l’importante è che lei non dica che glieli ho dati io”.
Nel luglio 2019, come svelò Il Fatto Quotidiano, la Procura di Caltanissetta, che aveva aperto un fascicolo investigativo, chiese una rogatoria internazionale per sentire Calvi.
L’Espresso confermò che il giornalista fu assunto a verbale nell’ottobre 2020 e che il documento è secretato. Tuttavia dà atto della presenza di un avvocato, con una funzione di garanzia procedurale. Un soggetto che avrebbe fatto delle opposizioni alle domande su Berlusconi e Dell’Utri, arrivando persino a zittire le risposte del giornalista, che comunque era in forte difficoltà a causa della malattia che lo aveva colpito.
Non si tratta dell’unica versione di questa storia. Per questo è necessario anche in questo caso il condizionale.
L’ex dirigente della rete francese Michel Thoulouze il 30 dicembre 2021 offri al Fatto una versione opposta: era stato Moscardo a offrire il film a una persona vicina a Berlusconi e quello aveva rifiutato.
La procura di Caltanissetta, nel tentativo di vederci chiaro sentii in seguito Leo Sisti, amico di Calvi e autore dell’articolo dell’Espresso.
Non sono mai stati sentiti invece Michel Thoulouze, la moglie di Fabrizio Calvi o i parenti di Moscardo.
La commissione antimafia potrebbe sentirli. Così come la procura nissena. Lo faranno? Chi può dirlo. Certe verità inconfessabili restano avvolte da un velo che non è stato ancora sollevato, né sembra esserci qualcuno intenzionato a farlo.



