È con profondo sdegno che il Centro Studi Paolo e Rita Borsellino prende atto delle recenti esternazioni durante il podcast “Lo Sperone” del 18 settembre 2025, in cui Salvatore Giuseppe Riina ha cercato di presentare un’immagine “umanizzata” di Totò Riina, addirittura un padre che “combatté il sistema”, una persona “onesta”, uno “uomo con la U maiuscola”.
Nessuna retorica può cancellare il torto enorme fatto alla memoria delle vittime, alle loro famiglie, e allo Stato tutto. Non si può ignorare che Riina senior è stato mandante di decine di omicidi, di stragi e attentati che hanno insanguinato l’Italia intera, mietendo vittime innocenti.
Non basta nascondersi dietro la retorica della “militarizzazione di Palermo” o dei poteri occulti per scusare un individuo che non ha mai collaborato con la giustizia, che non ha mai mostrato alcun ravvedimento, che ha continuato fino alla fine a rappresentare un pericolo per la società. Totò Riina non è mai stato vittima, ma il carnefice.
Nemmeno suo figlio può sottrarsi alle sentenze definitive che lo hanno condannato definitivamente a 8 anni e 10 mesi e per reati gravissimi connessi all’organizzazione mafiosa. Non è la prima volta che l’intervistato tenta di offrire la propria immagine da bravo ragazzo, già a partire dal periodo della libertà vigilata a Padova, quando è stato sorpreso più volte a violare gli obblighi connessi alla sorveglianza speciale: frequentazioni con pregiudicati, consumo di cocaina durante feste private, lasciando sempre dei dubbi sulla sua reale condotta.
Dubbi che, evidentemente, non hanno sfiorato i conduttori del podcast neppure quando l’intervistato ha avuto l’ardire di paragonare la latitanza della famiglia Riina alla negazione del diritto all’esistenza dei bambini di Gaza. È bene ricordare che Salvuccio Riina non è un osservatore neutrale: egli stesso ha ammesso di essere sempre stato consapevole di crescere in una famiglia di criminali, di aver accettato quella condizione e, anzi, di averla “abbracciata” sin da piccolo, descrivendola persino come motivo di gioia, “per noi era una festa”.
I valori etici che sono stati decantati in quel podcast – famiglia, onestà, rispetto, moralità – non potranno mai coincidere con il silenzio su stragi, su omicidi, sulla strategia del terrore. Nessuno che abbia amato davvero la giustizia, la democrazia, la verità potrà accettare che la memoria venga offuscata da revisionismi velati o da tentativi di pietismo, in questa e in diverse altre occasioni che in passato si sono presentate.
Chiediamo a tutti i media, a tutte le istituzioni, alla società civile: non lasciamo che la storia venga riscritta in modo da indebolire la memoria delle vittime; non lasciamo spazio a narrazioni che trasformano carnefici in vittime. Verità, giustizia, responsabilità concreta: queste devono rimanere le parole guida del nostro presente e del futuro.



