Giustizia, al via l’impar condicio referendaria

Referendum costituzionale

È partita la campagna referendaria sulla giustizia.

Com’è noto, la modifica costituzionale su cui si basa il referendum confermativo ha poco a che fare con la separazione delle carriere tra l’attività requirente e quella giudicante, mentre si tratta di un esplicito tentativo di mettere sotto il controllo del governo i pubblici ministeri. Del resto, essendosi già realizzato di fatto l’obiettivo della separazione con il decreto dell’ex ministra Cartabia, l’unico sbocco di qualche logicità dell’odierna forzatura è proprio la cavalcata nera (anche) sulla magistratura.

Nella costruzione (non solo italiana, ovviamente) della «democratura», parola poco bella sul piano fonetica ma efficace crasi tra democrazia e dittatura, l’attacco repressivo ai contropoteri delle toghe e dell’informazione è essenziale. E suppone che nessuna istituzione possa svolgere indagini sulla legittimità dei ceti dirigenti allargati.

Dovranno essere redatti a breve i regolamenti attuativi della legge sulla par condicio (l. 28 del 2000) da parte dell’autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) e della Commissione parlamentare di vigilanza sui servizi radiotelevisivi. Così recitano le norme, che naturalmente chiedono pari opportunità tra il SI e il NO.

L’astensione in questo caso non ha cittadinanza su tempi e spazi.

Va sottolineato, però, che la campagna è in corso da mesi senza alcun equilibrio e attraverso una imbarazzante quantità di programmi televisivi non ricondotti alle testate, in cui la magistratura sembra una sorta di pungiball senza reale contraddittorio.

La crescita fortunata del crime come formato dei palinsesti ha lavorato in profondità, con il pendant del rilancio sui social.

L’ossessivo martellamento sul caso di Garlasco è un esempio di scuola, che farà da cesura rispetto alla classica suddivisione delle modalità di esposizione mediale delle differenti posizioni. Con il tragico evento del 2007 – con la morte della povera Chiara Poggi – si è costruita una fiction quotidiana, popolata da persone svariate (chissà come scelte) e con i giudici brutti e cattivi a mo’ di convitati di pietra.

Intendiamoci. Che vi siano stati plateali errori nell’inchiesta è assai probabile, Tuttavia, se il mezzo è il messaggio, ecco che siamo al cospetto di una struttura scenica e di un’apparecchiatura discorsiva più o meno a senso unico.

La vicenda del comune della provincia di Pavia si unisce alla ripresa con tinte di spettacolarizzazione e con il contorno cospirativo dell’omicidio di Simonetta Cesaroni del 1990, o dell’assassinio avvenuto nel 2010/2011 della tredicenne Yara Gambirasio. Ci fu il precedente di Sarah Scazzi ad Avetrana, ma allora non si votava.

Ciò significa che simili trasmissioni vanno sospese nel periodo referendario? Sarebbe un precedente, ma forse si rende doveroso, restituendo il racconto su simili crimini alle strette esigenze della notiziabilità.

Il discorso è molto serio e ne ha scritto recentemente anche Carlo Freccero. Ci si aspetta, comunque, un indirizzo al riguardo della campagna (già in atto) da parte degli organismi competenti.

I Regolamenti formali dovranno attendere la decisione della data della consultazione, che oscilla tra fine marzo e aprile del 2026, e che muterà a seconda che vi siano o meno raccolte di firme delle cittadine e dei cittadini, oltre a quelle parlamentari. Comunque, nella recente riunione della Via Maestra promossa dalla Cgil insieme a decine di associazioni si è cominciato a definire il quadro.
Oltre ai canonici Comitati è indispensabile immaginare uno specifico gruppo di lavoro volto a informare e controinformare, vigilando sull’offerta comunicativa dei diversi media. Non solo i vecchi mezzi, però. Urge scandagliare la propaganda che corre sui e nei social, fuori da leggi e normative, salvo un’utile Linea guida varata dall’Agcom.

PS: si è levato una coro vasto e forte contro i comportamenti dell’Autorità Garante dei dati personali dopo la multa comminata a Report e gli intrecci non commendevoli con Fratelli d’Italia e non solo.

Nella pur discutibile Prima Repubblica le lettere di dimissioni sarebbero state vergate senza se e senza ma.

Fonte: il manifesto