Gaza-Israele, fame, genocidio quotidiano ed esami di maturità

Gaza food

Gaza, Cisgiordania e Israele, un mondo ormai incomprensibile. Il via ai tank israeliani nella Striscia di Gaza centrale. Strage per il cibo: 73 morti in un giorno. Da maggio, più di 900 persone in cerca di aiuti alimentari uccise a Gaza. Tre camion dell’Oms carichi di medicinali, la popolazione invitata a proteggere il convoglio. Chiesa cristiana colpita, Vaticano: legittimo dubitare dell’errore.

Esercito israeliano senza freni

L’Idf ha emesso un avviso di evacuazione per i palestinesi residenti nella zona sud-occidentale di Deir al-Balah, nella Striscia di Gaza centrale, mentre si prepara ad iniziare le operazioni di terra nella città per la prima volta dall’inizio della guerra. Lo riporta il Times of Israel.

Ma sabato era giorno di maturità

«Nell’ultimo bar, dietro l’ultimo muro rimasto in piedi, oggi millecinquecento ragazzi palestinesi di Gaza stanno sostenendo l’esame di maturità», il commovente segnale che ci arriva da Valeria Parrella sul manifesto. «Qualcuno ricorderà una foto delle rovine di Gaza da cui una ragazzetta raccoglieva dei libri di testo. Erano le macerie della sua casa, o della sua scuola, e lei aveva uno zaino colorato, e sorrideva. Il sorriso era la cosa peggiore e più bella assieme della foto».

Studenti, insegnanti e macellai

1.500 studenti iscritti agli esami. Prima dei bombardamenti a Gaza erano circa 40mila a completare ogni anno gli esami per garantirsi l’accesso all’università. Ma i libri sono rimasti spesso sotto le macerie. Secondo le Nazioni unite, Israele ha distrutto il 95 per cento delle infrastrutture educative. «Le forze israeliane hanno utilizzato attacchi aerei, bombardamenti, incendi e demolizioni controllate per danneggiare o distruggere oltre il 90 per cento delle scuole e degli edifici universitari in tutta Gaza». Un livello di devastazione che «equivale a crimini di guerra».

Mentre studenti e studentesse sostenevano gli esami, Israele bombardava pesantemente la Striscia, uccidendo più di cento persone dall’alba al tramonto e ferendone cinquecento.

Dentro un libro di scuola il futuro

Dentro un libro di scuola, anche a Gaza, c’è il futuro e per una giovane donna l’emancipazione. «Tra quelle stesse macerie e da quella stessa polvere in mezzo a cui i cecchini dell’esercito israeliano hanno ucciso persone in attesa di cibo, qualche chilometro più in là, una tenda più in là, dietro l’ultimo muro rimasto in piedi oggi millecinquecento ragazzi palestinesi di Gaza stanno sostenendo l’esame di maturità».

Quel tempo dedicato alla conoscenza che è il più pulito di tutti, quel tempo di cui l’Europa non sa più farsi garante presso nessuno. L’esame, il voto, il risultato, e la pagella della vita oltre la guerra.

La disumanità insiste senza vergogna

Il capo del Mossad ha chiesto agli Usa di trovare i paesi in cui «trasferire» gli abitanti di Gaza. Mentre Netanyahu vuole il campo di concentramento per palestinesi a Rafah, ci avverte Michele Giorgio. Il premier israeliano e i suoi ministri non rinunciano al piano volto a concentrare centinaia di migliaia di civili palestinesi in un gigantesco campo di internamento di massa che sorgerà sulle rovine di Rafah: la cosiddetta «città umanitaria» annunciata il 7 luglio dal ministro della Difesa, Israel Katz.

Mossad fuori da ogni leggenda

Il progetto va avanti e David Barnea, direttore del Mossad, si è recato a Washington per chiedere agli Stati Uniti di convincere altri paesi ad accogliere i palestinesi che decideranno di lasciare «volontariamente» Gaza. Si tratterebbe, secondo il sito Axios, di Libia, Etiopia e Indonesia, e Barnea avrebbe esortato l’inviato speciale Usa, Steve Witkoff, a esercitare le pressioni necessarie per ottenere il via libera da quei tre paesi. A parere del capo del Mossad, gli Usa dovrebbero offrire «incentivi» per convincere Libia, Etiopia e Indonesia.

Sull’orma di Trump il peggio

Donald Trump a febbraio aveva proposto l’espulsione di oltre due milioni di palestinesi per ricostruire Gaza e farne la «Riviera del Medio oriente». L’indignazione del mondo e di molti Paese arabi, e l’immobiliarista alla Casa Bianca ha frenato. Qualche giorno fa un gruppo di 16 studiosi e docenti israeliani di giurisprudenza ha firmato una lettera in cui si condanna il progetto del governo. «Se attuato, il piano costituirà una serie di crimini di guerra e contro l’umanità e, in determinate condizioni, potrebbe equivalere al crimine di genocidio», si legge nella lettera. Un campo di concentramento.

Democrazia anestetizzata

Dietro le voci dei firmatari e quelle di pochi altri accademici, intellettuali e personalità, c’è l’indifferenza dell’opinione pubblica israeliana e di quasi tutto il mondo politico nei confronti del progetto. I media ne parlano, ma, con rare eccezioni, tendono a privilegiare gli aspetti tecnici, come i costi per la realizzazione del campo, trascurando invece le sue implicazioni etiche e morali e la violazione della legalità internazionale. I costi previsti, secondo il quotidiano Yediot Ahronot, variano tra 2,7 e 4,5 miliardi di dollari.

Troppi per il governo israeliano che sul modello Trump, descrive il campo come un resort turistico. E invece è una prigione: l’uscita sarà vietata una volta entrati, salvo che per l’«emigrazione volontaria». «Se verrà realizzato – avverte Yigal Bronner, professore all’università ebraica di Gerfusalemme – sarà un luogo dalle condizioni di vita insopportabili, pensato per cacciare via i palestinesi da Gaza».

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