Don Ciotti: «L’omertà uccide verità, giustizia, speranza e memoria»

Ciotti 27lug2025

Il fondatore di Libera alla veglia in memoria delle vittime innocenti della mafia, presieduta da Tarantelli Baccari. «L’80% dei familiari non conosce la verità. Liberare il passato dalle verità nascoste».

«Dobbiamo lottare per la vita, non per il quieto vivere». Lo ha ripetuto più di una volta don Luigi Ciotti, fondatore e presidente di Libera. Alle sue parole si è aggiunto l’invito del vescovo vicegerente Renato Tarantelli Baccari, che ha ricordato incessantemente che «il male si vince con il bene, non con il male».

Le loro voci sono risuonate ieri sera, 27 luglio, nella chiesa di Santa Maria ai Monti, dove presule ha presieduto la veglia di preghiera in memoria delle vittime innocenti della mafia. “Pellegrini di speranza. Per non dimenticare”, il tema del momento di raccoglimento, che è stato promosso dall’Ufficio diocesano per la pastorale sociale, del lavoro e la cura del Creato, dal Servizio Cei per la pastorale giovanile e da Libera, in occasione del 32° anniversario degli attentati mafiosi alla basilica di San Giovanni in Laterano e alla chiesa di San Giorgio al Velabro. Furono compiuti nella notte tra il 27 e il 28 luglio del 1993, quando un’autobomba esplose anche in via Palestro, a Milano, provocando la morte di 5 persone. I loro nomi sono stati ricordati durante la veglia.

«Dobbiamo essere coraggiosi contro il male, perché si sconfigge con il bene – ha detto il vicegerente -. Ce lo ricordano il Signore con la sua vita, san Paolo e tutta la Scrittura». In che misura? «In una maniera semplicissima – ha spiegato -. Lo spazio è limitato. Più bene ci mettiamo, meno spazio c’è per il male. Se in una stanza totalmente buia accendiamo una piccola luce, quella luce si vedrà da ogni luogo e farà scomparire a poco a poco le tenebre». Allo stesso modo, ha continuato Tarantelli, «le nostre azioni anche piccole, le luci che abbiamo il coraggio e la forza di accendere e il bene che riusciamo a iniettare nel mondo, in modo molto naturale, con il nostro servizio, porteranno a compimento l’opera di Dio e il suo Regno».

Una strada indicata anche da don Ciotti. «L’ottanta per cento dei familiari delle vittime innocenti della violenza criminale mafiosa non conosce la verità – ha ricordato -. Eppure, la verità passeggia per le vie delle nostre città. Guerre, mafie, ingiustizie e povertà sembrano a volte un campo minato protetto dal silenzio e da tanti compromessi. Viviamo di neutralità ambigue – ha aggiunto -. Basta pensare a Gaza e a tanti altri luoghi». Il sacerdote ha quindi esortato a «liberare il passato dal velo delle tante verità nascoste o manipolate», perché «l’omertà uccide la verità, la giustizia, la speranza e la memoria». È per questo motivo, ha continuato, che «dobbiamo prendere coscienza che oggi nel nostro Paese, nonostante tutto il bene che è stato fatto, a fare la differenza è tanta indifferenza».

Per don Ciotti, «siamo passati dal crimine organizzato mafioso al crimine normalizzato», che si diffonde grazie alla «rete di complicità, di collusione e di corruzione». Serve quindi, «una risposta più collettiva – ha detto ancora il sacerdote -. Siamo qui per chiedere a Dio che ci dia una dolce pedata, perché continui a scuoterci. L’Anno Santo è un invito a trovare nella fede la fiducia necessaria per il presente e per il futuro. Ma la speranza – ha concluso – quaggiù è fragile se non condivisa. Ha bisogno anche della responsabilità civile, del nostro impegno per la verità, la libertà, la giustizia e la pace».

La veglia è stata aperta dalle parole di monsignor Francesco Pesce, parroco di Santa Maria ai Monti e responsabile dell’Ufficio diocesano per la pastorale sociale, del lavoro e cura del Creato. Il sacerdote ha esortato ad «affidare alla preghiera il dolore del mondo», affinché possa diventare «rugiada di una nuova primavera». Tra gli altri, oltre ad alcuni parenti delle vittime di mafia, presente anche don Riccardo Pincerato, responsabile del Servizio nazionale di pastorale giovanile della Cei, secondo cui «la memoria è il primo atto di responsabilità». Una responsabilità «alla quale sono chiamati anche i nostri giovani per essere pellegrini di speranza».

Fonte: RomaSette.it

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