D’estate, soprattutto d’estate, si sogna. E nel terribile frastuono dei tempi, che fanno apparire “pazza idea” anche le cose un giorno più ovvie, non inseguo il dream di Martin Luther King. Mi accontento di meno.
Mi basta sognare il liberatore di Reggio Emilia. Oddio, “mi basta”…So bene che è cosa difficile, che occorre una combinazione di spiriti eletti, di risveglio di popolo, che soffino insieme i venti del futuro e i venti del passato. Insomma che occorre un turbine morale. Ma so anche che ogni tanto queste cose accadono. Pure cose più difficili.
C’era una volta Mesagne, per esempio. Centro brindisino di 25mila anime, diventato in un pugno d’anni capitale di una nuova mafia, temibile e ruspante, detta Sacra corona unita. Erano i primissimi anni novanta. Cittadina alla deriva, era uno dei pochissimi posti in cui nella mia vita abbia temuto per me camminando da solo la sera. Ebbene, oggi Mesagne è il rovescio di allora, cittadina amabile e dotata di ottimi presidi di legalità nella sua amministrazione.
E se è successo in una località delle Puglie, fra l’altro priva delle grandiose tradizioni civili di Reggio Emilia, perché non potrebbe succedere nella capitale del modello emiliano, dove mai ebbi paura a circolare per le strade?
Ecco dunque il mio ricorrente sogno di un “liberatore”. Perché, per quanto difficile, mi sembra a portata di mano. In realtà, intendiamoci, la città ha già beneficiato recentemente di alcune figure “liberatrici”, a partire dalla prefetta siciliana Antonella De Miro, il cui arrivo fu necessario perché qualcuno (gli altri non ci erano riusciti…) vedesse finalmente la ‘ndrangheta che dilagava in città e provincia. E con lei o dopo di lei altri prefetti, alcuni magistrati o sindacalisti o carabinieri e un po’ di persone di buona volontà.
Il fatto è però che i liberatori devono avere (e hanno bisogno di sentirsi) i popoli alle spalle. Devono cioè essere alla testa di un moto politico. Tanto più se la società in cui operano pullula di resistenze a liberarsi. O se addirittura c’è chi sostiene che non bisogna liberarsi proprio di nessuno, perché i conquistatori sono brave persone. Non vedete quante persone per bene sono nate nei loro stessi luoghi? Ovvero Cartesio applicato alla ‘ndrangheta. Ecco.
Io a Reggio Emilia voglio bene. Da giovane sociologo avrei lasciato il sogno di una carriera in università per quello di andare a lavorare in una scuola, una biblioteca o un centro di ricerca comunale di Reggio Emilia. Quando la mia vita si fece tempesta sotto la violenza mafiosa, Reggio mi offrì riparo morale e solidarietà.
Per questo non ce la faccio a vederla così vischiosamente suddita di signori un tempo imprevedibili. Mi ripugnano i lampi di codardia che ha mandato in reazione alla proposta della prefetta De Miro di cambiare nome alla maestosa via Cutro, frutto -forse un tempo inconsapevole – dell’inchino al conquistatore (proprio così, “non ciurliamo nel manico” dicono a Milano).
E quindi, che volete, ho istintivamente provato simpatia e speranza leggendo le dichiarazioni del nuovo sindaco Marco Massari. Il quale non ha inscenato il copione (logoro e trito) del vittimismo, né si è schierato con le truppe che lo circondano in mimetica. Ma sulla questione del cambio di nome alla via ha detto le cose sensate che chiunque dovrebbe dire.
Per quel che ha significato quella intitolazione, per quello che è emerso nel processo Aemilia (mia proposta: facciamone vedere il docufilm ovunque; poi sapremo di che stiamo parlando), il nome va cambiato per segnare un cambio d’epoca, senza pregiudizi anagrafici verso nessuno. Quando l’ho letto sono andato subito a vedere di che partito fosse mai quest’uomo. E ho letto: medico, indipendente.
Ecco, volevo ben dire. Che il popolo di buona volontà si metta in moto al suo fianco e con lui liberi la città e i suoi abitanti onesti. Emiliani o calabresi che siano.
Fonte: Il Fatto Quotidiano, 04/08/2025



