Il mancato arresto del torturatore libico. Il criminale di guerra fu rimpatriato su un volo di Stato. L’accusa: omissione di atti di ufficio, concorso in favoreggiamento e in peculato. Archiviata la posizione della premier Meloni, il voto tra 60 giorni.
Il Tribunale dei ministri ha chiesto l’autorizzazione a procedere per il caso Almasri nei confronti del sottosegretario Alfredo Mantovano, del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e del ministro della Giustizia Carlo Nordio.
Sono tutti accusati di concorso in favoreggiamento personale aggravato, Mantovano e Piantedosi sono accusati anche di peculato aggravato, mentre a Nordio viene contestato anche il reato di rifiuto di atti d’ufficio, sempre aggravato.
Nelle 90 pagine della richiesta, i giudici ricostruiscono i fatti, in ordine cronologico – dalla richiesta di arresto del criminale libico da parte della Corte penale internazionale fino alla liberazione e al rimpatrio a Tripoli con un volo di Stato italiano.
Archiviata la posizione della premier Giorgia Meloni
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni affida gli aggiornamenti sulla decisione del tribunale dei ministri di archiviare la sua posizione sul caso Almasri a un post sui social, lasciando trasparire la sua indignazione.
“È una tesi palesemente assurda. A differenza di qualche mio predecessore che ha preso le distanze da un suo ministro in situazioni similari, rivendico che questo governo agisce in modo coeso sotto la mia guida: ogni scelta, soprattutto così importante, è concordata. È quindi assurdo chiedere che vadano a giudizio Piantedosi, Nordio e Mantovano, e non anche io, prima di loro”.
“Nel merito ribadisco la correttezza dell’operato dell’intero esecutivo, che ha avuto come sola bussola la tutela della sicurezza degli italiani. L’ho detto pubblicamente subito dopo aver avuto notizia dell’iscrizione nel registro degli indagati, e lo ribadirò in Parlamento, sedendomi accanto a Piantedosi, Nordio e Mantovano al momento del voto sull’autorizzazione a procedere”, conclude la premier.
Scontro tra Nordio e l’Anm
Si accende uno scontro a distanza tra il ministro e il presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati Cesare Parodi: “Un processo dove vengono accertati magari in via definitiva certi fatti ha evidentemente un ricaduta politica sulle persone coinvolte”. Parodi fa riferimento alla possibilità che il capo di gabinetto del ministero della Giustizia Giusi Bartolozzi vada a processo per il caso del generale libico arrestato e poi rilasciato dall’Italia.
“Sono sconcertato dalle parole di un presidente Anm considerato, sino ad ora, equilibrato. Non so come si permetta di citare la mia capo di gabinetto, il cui nome per quanto almeno mi risulta, non è citato negli atti. In caso contrario dovrei desumere che Parodi è a conoscenza di notizie riservate. Quanto all’aspetto politico, considero queste affermazioni una impropria ed inaccettabile invasione di prerogative istituzionali’, la reazione del ministro della Giustizia. Poi la precisazione di Parodi: ”Mai citato Bartolozzi, il mio era un ragionamento”.
Associazione Nazionale Magistrati: “Responsabilità politica e penale sono due cose diverse”
“Credo che la premier Meloni sulla vicenda Almasri, come normale che sia essendo il capo del governo, si sia assunta la responsabilità politica, che non sempre coincide con quella penale. Sono due cose diverse”. Così il presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati Cesare Parodi a Radio Anch’io, in merito alle parole di Giorgia Meloni, la quale ha definito assurdo il fatto che la sua posizione nel caso Almasri sia stata archiviata mentre per i ministri possa essere chiesta l’autorizzazione a procedere.
La vicenda
Il caso ha avuto inizio lo scorso 6 gennaio, quando il capo della polizia giudiziaria libica ha iniziato il suo viaggio per l’Europa, volando da Tripoli a Londra e facendo scalo all’aeroporto di Roma-Fiumicino. Dopo essersi trattenuto nella capitale britannica per sette giorni, il 13 gennaio Almasri si è trasferito a Bruxelles in treno per poi proseguire diretto in Germania, viaggiando in macchina con un amico. Durante il suo tragitto verso Monaco, il 16 gennaio, è stato fermato dalla polizia per un controllo di routine e gli agenti lo hanno lasciato proseguire. Infine è arrivato a Torino in auto, per assistere a una partita di calcio.
Sabato 18 gennaio, dodici giorni dopo l’inizio del viaggio del comandante libico in giro per l’Europa, la Corte penale internazionale – con una maggioranza di due giudici a uno – spicca un mandato d’arresto sul generale per crimini di guerra e contro l’umanità commessi nella prigione di Mittiga, vicino a Tripoli, dal febbraio 2011. In quel carcere sotto il suo comando, secondo i documenti dell’Aia, sarebbero state uccise 34 persone e un bimbo violentato.
Domenica 19 gennaio Almasri, da poco arrivato nel capoluogo piemontese, viene fermato e messo in carcere dalla polizia italiana ma viene in seguito rilasciato il 21 gennaio su disposizione della Corte d’Appello a causa di un errore procedurale: si è trattato di un arresto irrituale, perché la Corte penale internazionale non aveva in precedenza trasmesso gli atti al Guardasigilli Nordio. L’arresto non è stato “preceduto dalle interlocuzioni con il ministro della Giustizia, titolare dei rapporti con la Corte penale internazionale; ministro interessato da questo ufficio in data 20 gennaio, immediatamente dopo aver ricevuto gli atti dalla Questura di Torino, e che, ad oggi, non ha fatto pervenire nessuna richiesta in merito”, si legge nell’ordinanza della corte di Appello di Roma, che dispone l’immediata scarcerazione.
Rimpatriato con volo di Stato
Poco dopo il suo rilascio, nello stesso giorno, il comandante libico è stato rimpatriato dall’Italia su un volo di Stato, prima di essere portato in trionfo da decine di suoi sostenitori che lo hanno accolto festanti. La serie di eventi ha scatenato le accese proteste dell’opposizione e della stessa Corte penale internazionale, dopo aver visto sfumare la consegna di un uomo che voleva arrestare per crimini di guerra e contro l’umanità. “Stiamo cercando, e non abbiamo ancora ottenuto, una verifica da parte delle autorità sui passi compiuti”, ha fatto sapere la Corte Penale Internazionale.
Un paio di giorni dopo il governo interviene ufficialmente per la prima volta, attraverso il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, che al question time al Senato fornisce una prima risposta: una volta scarcerato su disposizione della Corte d’Appello, Almasri è stato “rimpatriato a Tripoli, per urgenti ragioni di sicurezza, con mio provvedimento di espulsione, vista la pericolosità del soggetto” e per il fatto che dal momento del rilascio “era ‘a piede libero’ in Italia”.
Dopo l’annuncio dell’indagine, l’intervento atteso di Piantedosi e Nordio sul caso Almasri è inizialmente saltato. L’informativa si è poi tenuta il 5 febbraio: i ministri dell’Interno e della Giustizia hanno sostenuto la correttezza dei loro atti, contrapponendola alle “incongruenze” ed agli “errori” di quelli della Corte dell’Aja. In particolare, si è parlato di un arresto eseguito senza la preventiva consultazione col ministero della Giustizia, di un mandato della Corte penale internazionale con “gravissime anomalie” e dunque “radicalmente nullo”. In particolare, Nordio ha spiegato che la Giustizia non ha un ruolo da mero “passacarte”, ma è un “organo politico” che analizza e valuta bene prima di decidere. E mentre via Arenula valutava, la Corte d’appello di Roma scarcerava il libico, rilevando “irritualità” nell’arresto, perché “non preceduto dalle interlocuzioni con il ministro della Giustizia”, che, interessato il giorno prima dalla stessa Corte “non ha fatto pervenire alcuna richiesta in merito”. Ma non c’è stata negligenza, sottolinea il Guardasigilli: nel documento della Cpi, “c’era tutta una serie di criticità che avrebbero reso impossibile un’immediata richiesta alla Corte d’appello”.
La Corte Penale Internazionale chiede spiegazioni
A febbraio la CPI ha chiesto spiegazioni sul rilascio di Almasri. “Il 21 gennaio 2025, senza preavviso o consultazione con la Corte, il signor Osama Almasri Njeem sarebbe stato rilasciato dalla custodia e riportato in Libia. La Corte sta cercando, e deve ancora ottenere, una verifica dalle autorità sui passi presumibilmente intrapresi. La Corte ricorda il dovere di tutti gli Stati Parte di cooperare pienamente con la Corte nelle sue indagini e nei procedimenti penali per crimini”.
“La Corte – si legge ancora – ha continuato a impegnarsi con le autorità italiane per garantire l’effettiva esecuzione di tutti i passi richiesti dallo Statuto di Roma per l’attuazione della richiesta della Corte. In questo contesto, la Cancelleria ha anche ricordato alle autorità italiane che, nel caso in cui si dovessero individuare problemi che potrebbero ostacolare o impedire l’esecuzione della presente richiesta di cooperazione, dovrebbero consultare la Corte senza indugio per risolvere la questione”, affermando che l’Italia non ha consultato la CPI per il rilascio.
Palazzo Chigi invia una memoria difensiva
A maggio, il governo Italiano ha inviato alla Corte penale internazionale dell’Aja la propria memoria difensiva.
I giudici con base nei Paesi Bassi, in sostanza, hanno accusato l’Italia di non aver eseguito il mandato d’arresto, di non aver perquisito Almasri, di non aver sequestrato i dispositivi in suo possesso e di aver sperperato denaro pubblico rimpatriandolo a Tripoli a bordo di un aereo dell’intelligence.
Il 28 gennaio la presidente del Consiglio Giorgia Meloni aveva annunciato di essere indagata – in seguito a una denuncia presentata dall’avvocato Luigi Li Gotti – per favoreggiamento e peculato dalla Procura di Roma in relazione al rimpatrio di Almasri. Con lei anche il ministro della Giustizia Carlo Nordio, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e il sottosegretario Alfredo Mantovano. accusato di inerzia, il ministro Nordio si era difeso in Parlamento sostenendo che la richiesta di arresto dell’Aja fosse irregolare e che non erano state rispettate le sue prerogative.
Fonte: Rainews
Meloni: ‘Il tribunale dei ministri archivia la mia posizione su Almasri’
‘Ogni scelta del governo concordata. Assurdo chiedere che Mantovano e Piantedosi vadano a giudizio e non io’.
Il governo ha sempre preso decisioni “concordate”.
Su tutte le questioni comprese quelle delicate come il caso Almasri. È una furia Giorgia Meloni quando racconta sui social di avere ricevuto la comunicazione da parte del tribunale dei ministri che la sua posizione “è archiviata” mentre con ogni probabilità sarà richiesta, come dice di desumere dal “decreto” che ha in mano, l’autorizzazione a procedere per Matteo Piantedosi, Carlo Nordio e Alfredo Mantovano. Una decisione “assurda”, attacca la premier, tanto più che il presupposto è che lei non sia stata “preventivamente informata” dai suoi ministri a cui siederà “a fianco quando il Parlamento” dovrà votarla.
Per approfondire: Il caso Almasri, le tappe della vicenda – ANSA.it
La giornata era iniziata con il volo in elicottero verso Ancona e il festeggiamento del compleanno di Antonio Tajani (cui oltre alla torta fa trovare dei dolcetti tunisini omaggio di Kais Saied). E proseguita con l’elogio dello spirito dei marchigiani (come del loro illustre concittadino Enrico Mattei), la visita al cantiere della Pedemontana, strette di mano.
Quindi con l’annuncio a sorpresa dell’estensione della Zes a Umbria e Marche, che la premier fa a fianco del “suo” governatore Francesco Acquaroli, a caccia del bis a settembre. Lo sforzo è quello di presentarlo come un evento “istituzionale”, tanto che ad accoglierla c’è pure il presidente della provincia Daniele Carnevali, espressione del centrosinistra.
Ma già dalle prime parole di Matteo Salvini in videocollegamento – “vinceremo nelle Marche e non per le inchieste” – si capisce che, di fatto, la trasferta del governo ad Ancona serve a benedire la corsa di Acquaroli. Tanto che le opposizioni bollano immediatamente la mossa come uno “spot elettorale”, anche perché l’estensione della Zes è un disegno di legge che ora avrà bisogno dei suoi tempi per essere approvato dal Parlamento. Ma “ha paura di perdere ed ecco che arriva la Zes”, sintetizza Matteo Renzi, mentre i dem a partire dallo sfidante Matteo Ricci sono più cauti e chiedono (fosse mai che davvero riuscisse la rimonta) che ora l’esecutivo sia conseguente stanziando anche le risorse adeguate.
Rientrata a Roma Meloni poi passa dal tavolo sul vino al Consiglio dei ministri (ed è pure invitata al matrimonio del viceministro agli Esteri Edmondo Cirielli). Fino al secondo annuncio, quello al veleno.
Archiviazione per lei e richiesta di autorizzazione a procedere per gli altri indagati dal Tribunale dei ministri. Nel decreto, scrive la premier, “si sostiene che io ‘non sia stata preventivamente informata e (non) abbia condiviso la decisione assunta’: e in tal modo non avrei rafforzato ‘il programma criminoso’ “.
In sostanza “si sostiene pertanto che due autorevoli Ministri e il sottosegretario da me delegato all’intelligence abbiano agito su una vicenda così seria senza aver condiviso con me le decisioni assunte”. Tesi che per lei è “palesemente assurda” perché “a differenza di qualche mio predecessore, che ha preso le distanze da un suo ministro in situazioni similari rivendico che questo Governo agisce in modo coeso sotto la mia guida”.
La stoccata è rivolta a Giuseppe Conte e alla vicenda della nave Diciotti, come prontamente ricorda pure Matteo Salvini: “Alla faccia dei ‘non ricordo’ degli smemorati Conte e Toninelli sugli sbarchi dei clandestini, avanti insieme e a testa alta”, scrive il vicepremier in risposta al post social di Meloni che “nel merito” ribadisce “la correttezza dell’operato dell’intero esecutivo che ha avuto come sola bussola la tutela della sicurezza degli italiani”.
L’assurdità, ribatte Avs dall’opposizione è “avere liberato uno stupratore, anche di bambini, un assassino, un trafficante di esseri umani”, come dice Angelo Bonelli invitando il governo a “non nascondersi dietro l’immunità” e a lasciare che si celebri il processo.
Fonte: Ansa
Meloni: “Archiviata la mia posizione sul caso Almasri”. Richiesta autorizzazione per Nordio, Piantedosi e Mantovano
La premier su X comunica la notifica del provvedimento dal Tribunale dei ministri.
AGI – “Oggi mi è stato notificato il provvedimento dal Tribunale dei ministri per il caso Almasri: dopo oltre sei mesi dal suo avvio, rispetto ai tre mesi previsti dalla legge, e dopo ingiustificabili fughe di notizie”. Ad annunciarlo, su X, è Giorgia Meloni.
“I giudici – osserva la presidente del Consiglio – hanno archiviato la mia sola posizione, mentre dal decreto desumo che verrà chiesta l’autorizzazione a procedere nei confronti dei Ministri Piantedosi e Nordio e del Sottosegretario Mantovano”.
“Nel decreto si sostiene che io ‘non sia stata preventivamente informata e (non) abbia condiviso la decisione assuntà: e in tal modo non avrei rafforzato ‘il programma criminoso'”, osserva ancora.
Il presidente della Giunta delle autorizzazioni della Camera Devis Dori (Avs) rende noto che, al momento, non è pervenuta nessuna carta relativa al dossier Almasri da parte del Tribunale dei Ministri.
Il comunicato del Tribunale dei ministri
Nei confronti del presidente del Consiglio Giorgia Meloni va disposta l’archiviazione perché “gli elementi indiziari” non sono “dotati di gravità, precisione e concordanza tali da consentire di affermare in che termini e quando la presidente del Consiglio sia stata preventivamente informata e abbia condiviso la decisione assunta in seno alle riunioni, rafforzando con tale adesione il programma criminoso”. Lo scrive il tribunale dei Ministri nell’atto di 2 pagine, firmato dal presidente Maria Teresa Cialoni, con il quale è stata disposta la non imputazione per il Premier in relazione al caso Almasri.
Per il tribunale, inoltre, “gli elementi acquisiti nel corso delle indagini non consentano di formulare una ragionevole previsione di condanna, limitatamente alla posizione della sola presidente del consiglio Giorgia Meloni”, tanto per il reato di favoreggiamento che per quello di peculato. “Dalle sommarie informazioni del prefetto Caravelli, il quale ha riferito che la presidente del consiglio era stata sicuramente informata mentre per il resto si è limitato a esprimere una valutazione (ritengo, sulla base di indicazioni che mi dava il sottosegretario Mantovano, che fosse d’accordo) senza, tuttavia, specificare – si legge nel provvedimento di archiviazione -, quali fossero state le indicazioni ricevute su cui aveva fondato una simile valutazione – non compare alcun dettaglio o elemento valutabile circa la portata, natura, entità e finalità dell’informazione, specie sotto il profilo della sua condivisione delle ‘decisioni’ adottate”
Salvini a Meloni, andiamo avanti a testa alta
“Alla faccia dei ‘non ricordo’ degli smemorati Conte e Toninelli sugli sbarchi dei clandestini… Avanti insieme a testa alta, non ci fermeranno”. Lo ha scritto sui social il vicepremier e leader della Lega, Matteo Salvini, commentando l’annuncio della premier Giorgia Meloni sull’archiviazione della sua posizione sul caso Almasri, mentre si va verso la richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti dei ministri Matteo Piantedosi e Carlo Nordio e del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano.
Fonte: AGI, Agenzia Italia



