Carceri, la lettera a Nordio di Agnese Moro, Bachelet e altri familiari delle vittime

Carcere e poesia

«Un errore le norme che restringono le attività tra detenuti e cittadini esterni».

«Gentile signor ministro della Giustizia, noi familiari di vittime delle azioni terroristiche, della lotta armata e della criminalità organizzata, da tempo impegnati in attività volte a realizzare il dettato Costituzionale di favorire la rieducazione dei detenuti», (…) «guardiamo con notevole perplessità e sofferenza personale alle norme restrittive recentemente introdotte nelle carceri italiane».

Comincia così la lettera che Giovanni Bachelet, Fiammetta Borsellino, Marisa Fiorani, Silvia Giralucci, Manlio Milani, Lucia Montanino, Maria Agnese Moro, Giovanni Ricci, Sabina Rossa e Paolo Setti Carraro hanno inviato al ministro della Giustizia, Nordio.

Il testo fa riferimento alla circolare del Dap – il Dipartimento amministrazione penitenziaria – datata 21 ottobre (numero 0454011.U) che limita con nuovi paletti – riuscendo, secondo diversi osservatori, a impedirle di fatto pur senza vietarle formalmente – le attività nelle carceri che prevedano partecipazione di persone esterne.

Ecco come prosegue il testo della lettera: «Consci del fatto che il ripensamento del proprio passato criminale molto raramente è frutto di un’improvvisa “illuminazione”, essendo più spesso il risultato di una contaminazione culturale, emotiva e relazionale, che supera le barriere fisiche tra il mondo esterno ed interno alle carceri; consapevoli che anche la semplice partecipazione a incontri e confronti con il mondo esterno rappresenta per i detenuti coinvolti una iniziale rottura verso il passato, esponendoli ai rischi e pericoli di emarginazione ben noti a chi frequenta le carceri; convinti che il cambiamento di valori richieda costanti, faticosi, lunghi e dolorosi processi di revisione critica del proprio vissuto, di assunzione di responsabilità molteplici e di emancipazione emotiva e culturale dal passato; consapevoli che il riconoscimento reciproco dell’uomo detenuto e della vittima costituisce il presupposto di un fecondo rapporto di relazione trasformativa; essendo testimoni dei cambiamenti indotti da queste frequentazioni anche nella relazione dei detenuti con l’autorità rappresentata dal personale di custodia; avendo constatato di persona l’importanza e la ricchezza dei confronti tra detenuti e studenti nel processo rieducativo, poiché questi ultimi spesso rappresentano il volto dei loro figli; avendo altresì constatato il valore sociale, psicologico e morale di questi incontri, al fine di prevenire il bullismo e derive criminali negli adolescenti, convinti che un cambiamento, una emancipazione ed una nuova scelta di campo sia possibile anche per chi ha commesso delitti particolarmente gravi; avendo sperimentato personalmente come questi incontri aiutino anche noi vittime della violenza a vivere le ferite del passato in modo diverso; consapevoli che la sicurezza della società dipende dalla qualità della cittadinanza di chi esce dal carcere; guardiamo con notevole perplessità e sofferenza personale alle norme restrittive recentemente introdotte nelle carceri italiane volte a irrigidire, limitare e contingentare queste feconde attività di relazione tra detenuti e cittadini, in particolare laddove queste vengono obbligatoriamente sottoposte ad una impersonale e spesso soffocante centralizzazione burocratica». Seguono le firme di cui sopra.

Fonte: Corriere della Sera/Buone Notizie, 07/011/2025